martedì 30 dicembre 2008

alla ricerca di uno stile

Leggo molti manoscritti.
Agli autori inediti vorrei dire: "Non emulate, non ispiratevi ai generi di successo". Mi capita infatti di incontrare, per esempio, troppi nipotini di Harry Potter, lavori che non saranno mai pubblicati, anche se di buon livello. Il fatto è che Harry Potter satura praticamente da solo quel mercato, definendo nitidamente i contorni di quel genere, sicché c'è davvero poco spazio per gli altri.
Insomma, se proprio si sente il bisogno di seguir le peste altrui, conviene prendere a modello generi o autori non troppo noti, tali da permettere magari anche un perfezionamento di quel genere, di quello stile (Borges ricorda che ci sono stati autori che hanno scritto prima di Kafka e che sono stati resi 'kafkiani' proprio dalla successiva opera di Kafka, nel senso che Kafka ha portato a perfezione una estetica che forse era già nell'aria, ma in forma non così limpida).

lunedì 29 dicembre 2008

dubbio ed esattezza


Per quanto mi riguarda – e così rispondo a S. - io scrivo per esplorare le risorse del linguaggio, la possibilità di dire le cose con esattezza.
Ma da lì nasce la scommessa ulteriore, quella di far stare insieme il desiderio di esattezza espressiva con la mia tendenza al dubbio, incarnato sia da Ribò, su un piano per così dire etico, e sia dal Cardo su un piano più bassamente istintivo.
Il tutto impastato con qualche elemento di comicità (che cerco di evidenziare alle presentazioni...).
(Foto di Luigi Bacco)

domenica 28 dicembre 2008

...dagli vita


Ieri sera, passando sulle strisce pedonali in piazza Bodoni, i miei occhi, d’istinto, senza volerlo, hanno come ritagliato nei segni del selciato una immagine creata dalla semplice usura della vernice bianca, una sorta di figura danzante che con un braccio lancia in alto una seconda figurina danzante. Mi sono fermato (non passavano macchine, per fortuna) e ho fotografato quell’ombra, non so nemmeno io perché. O forse lo so, l’ho fatto per dare ai due personaggini quel bruscolo di vita che il loro profilo antropomorfo sognava.

venerdì 26 dicembre 2008

ogni giorno


Oggi, leggendo un robusto romanzo di un autore inedito, ho imparato due parole che non conoscevo: stollo e greppo (entrambe di ambito agreste). Ovviamente sono corso al vocabolario, ho letto le definizioni, e poi ho interrotto la lettura del manoscritto. Ci tenevo a godermi la scoperta di quelle due nuove parole, scoperta non dovuta alla burocratica lettura del vocabolario, ma alla viva presenza nel testo. Ho anche provato a imbastire due o tre frasi cercando di usare con noncuranza le due parole, ma D. mi ha chiesto se ero pazzo. Ero soltanto felice per avere imparato due parole nuove.
Insomma, anche oggi sono rimasto fedele, in senso lato, al motto che ho rubato a Plinio: nulla dies sine linea, e non c'è bisogno di traduzione.
(Foto di JJ. Fin)

martedì 23 dicembre 2008

acrostico di lusso


Roberta Anau ha confezionato un libro di acrostici rimati sul tema del cibo.
Per le feste si consiglia:
Cogitabonda osservo queste uova
Adagiate in una scatoletta nuova.
Vedo granelli lucidi e brillanti
Incastonati come dei diamanti
Allo stesso costo. Ma la prova
Leva i sensi di colpa e il dente trova
Estasiante atomo sottratto alla cova

due romanzi


Nel suo ultimo romanzo dal titolo Conta le stelle, se puoi (Einaudi), Elena Loewenthal tratteggia la storia di Moise Levi, giovane che parte da Fossano sul finire dell’Ottocento, con il suo carro di stoffe e scampoli, per cercar fortuna a Torino. Ne nasce un affresco di famiglia condotto con improvvise spinte in avanti, a inseguir le storie di figli e nipoti, e con repentini ritorni al passato, a quel carretto da cui tutto ebbe origine, mentre il Novecento scorre e Torino si ingrandisce. Ma ecco che con un semplice espediente narrativo il libro esce dai confini della pur godibile cronaca familiare, una normale storia ebraica in un normale contesto sociale piemontese, per diventare letteratura, qualunque accezione si voglia dare a questa parola. E l’espediente, che inventa la Storia e la riscrive, è la morte di Mussolini, avvenuta per infarto (lo s-ciupùn, alla piemontese), nel 1924, con tutto quel che ne segue. Una morte data quasi per ovvia, storicamente nota, non enfatizzata, proprio come se fosse andata davvero così. Il lettore, a quel punto, si trova di fronte a due romanzi: uno è quello che sta leggendo, l’altro è quello che deve ricostruire, mettendo Moise Levi e i suoi tanti discendenti alle prese con la storia vera, dal 1924 in poi…
(Ecco dunque una delle accezioni di letteratura: c’è letteratura quando un libro ne contiene almeno un altro, totalmente affidato alla immaginazione del lettore).

domenica 21 dicembre 2008

ozio elvetico

Mercoledì 17 dicembre 2008 sono stato a Lugano, ospite della Tv Svizzera, alla trasmissione in diretta dal titolo LATELE, per parlare di ozio e di scrittura, poiché tengo corsi di ozio e scrivo libri. Le due cose, ho spiegato, lungi dall’essere in opposizione, sono addirittura complementari.
Ho citato tra l’altro Maigret, ricordando che lui, quando inizia una inchiesta, ‘ozia’, ovvero si mette in una condizione di passività sorvegliata, non osserva, non opera deduzioni, ma cerca di assorbire l’atmosfera del luogo... Così, grazie all’ozio, raggiunge una più alta soglia percettiva. Soltanto l’ozio, ho aggiunto, consente di potenziare i propri sensi. Durante le nostre fasi attive siamo accecati dall’obiettivo cui tende la nostra azione, e non vediamo i dettagli, non ascoltiamo i suoni e i rumori di sfondo, non percepiamo odori e sapori. Ma si scrive, come diceva Nabokov, con gli occhi e con le orecchie. E quindi bisogna sviluppare i sensi, bisogna oziare.
Così, sotto la sapiente guida dei conduttori, Sandy Altermatt e Daniele Rauseo, che ringrazio qui, insieme con il regista Marco Pagani, abbiamo scherzato e inneggiato all’ozio e alla scrittura per una buona mezz’ora.
Se fossi capace metterei qui allegato il video della trasmissione... Ma mi farò insegnare.

martedì 9 dicembre 2008

la giacca


Oggi, guardando l’interno della mia giacca nuova, con la fodera colorata e le tasche segrete, ho provato per un istante un’ondata di felicità piena e genuina.
Subito dopo, fortunatamente, ho anche pensato di essere davvero idiota, per aver avvertito quella sensazione. E tuttavia, la felicità di quel breve attimo è stata autentica, reale, ovvero è esistita.
Ho deciso di tenere traccia di questo fatterello per ricordarmi che chi scrive non deve mai prescindere dalla realtà.

il luogo per scrivere


Ogni autore sa che ci sono luoghi o situazioni che rendono quasi inevitabile l’atto di scrivere. Quando mangio da solo in una trattoria di campagna, per esempio, mi trovo in una condizione perfetta, sicché quando arriva il caffé sono già alla terza pagina, come in questo momento (la pagina non è questa, questo è il commento che ho interposto alla stesura).
Ogni autore dovrebbe trovare, se ancora non l’ha trovato, il suo ’luogo perfetto’.
P.S.: ogni autore dovrebbe essere in grado di fare a meno del suo ‘luogo perfetto’.

domenica 30 novembre 2008

fare attenzione

Sull'inserto domenicale del Sole24ORE leggo questa frase del noto graphic designer Milton Glaser: "Il disegno è una forma di meditazione, ti costringe a fare attenzione, che è la ragione ultima del fare arte".
L'attenzione, fare attenzione...
C'è di che farne una ragione di vita.

lunedì 24 novembre 2008

poi e ogni


Vi sono autori davvero bravi, capaci di organizzare la sintassi e l’architettura narrativa con sapienza e talvolta con originalità, che però continuano a scrivere libri che non possono interessare il pubblico e di conseguenza gli editori, i quali editori – è bene che l’autore ne sia convinto – guardano al pubblico, non all’autore.
Ad esempio, vi sono autori che scrivono parodie di un ‘genere’, o di un autore, o di una tendenza (il fantasy…), e altri che insistono nel segnalare con i loro scritti l’illeggibilità di quanto viene pubblicato oggi… Opere di questo tenore allontanano il lettore, il quale in genere non vuole trarre piacere da una operazione intellettuale (come quella di cogliere le allusioni o le citazioni in un testo che irride altri testi o che rielabora in chiave moderna ecc.), ma desidera per esempio essere introdotto all’interno di una storia, trae beneficio da una lingua che cattura e che seduce, viene attirato da un testo che agisce sui sensi per approdare poi al cervello, e non viceversa… Insomma, lo scrittore non dovrebbe fare il critico di se stesso, ma lo scrittore, vale a dire andare in maniera onesta e diretta, con la sua verità, ovviamente artificiale, verso ogni lettore, libero da invidie, libero da ammiccamenti a ciò che è esterno al suo progetto estetico.
Parole chiave: poi e ogni.

martedì 18 novembre 2008

politicamente corretto

Il linguaggio 'politicamente corretto' precipita in molti casi verso discutibili eufemismi, e chiunque manovri la lingua per ragioni che non siano giornalistiche lo guarda con sospetto. Su questo tema ho trovato esilarante il commento di D.: "Sarebbe come definire diversamente cotto un arrosto mezzo crudo...".

martedì 11 novembre 2008

il vetro bagnato


Un vetro bagnato impedisce di distinguere con nitore la realtà, ma offre sufficienti dati per cogliere il senso dell'insieme. A volte adotto questa tecnica, che definisco 'del vetro bagnato', per tratteggiare scene o situazioni, vale a dire che dissemino qua e là qualche imprecisione, o lascio incompleta una descrizione, o accosto dettagli non congrui proprio per creare un effetto di sfaccettatura, di mancata messa a fuoco.
Così, il lettore si trova nel ruolo attivo e - spero - piacevole di completare il quadro.

lunedì 10 novembre 2008

stacca un pezzo


“Guarda, fai così, prendi una porzione di mondo, un frammento, lo stacchi e lo metti lì, sulla pagina. Mi raccomando, soltanto quel frammento, non tutto lo scenario. Ma fai in modo che quel pezzetto porti con sé tutto il resto. Questa è la scrittura”.

il riflesso


Sono cominciate le presentazioni di Veleni al Lingotto, e poiché si tratta di un giallo, durante questi incontri tendo a parlare – ovviamente - più dell’atto di scrivere che non della trama. Alla fine, c’è sempre qualcuno che mi dice che gli ho instillato la voglia di scrivere. E’ curioso notare che il desiderio di scrivere si trasmetta più facilmente a voce che non per mezzo della stessa scrittura. Come se la scrittura, da sola, non rispecchiasse, nel lettore, se stessa, ma qualcosa di altro. O forse si tratta della forza intramontabile dell’oralità, che allude al vero…
(Foto di JJ. Fin).

giovedì 6 novembre 2008

investire


E' cosa nota, risaputa, ma conviene ricordarla, in tempi di crolli di borsa e di espressioni terrorizzate. Il migliore investimento, alla lunga, continua a essere quello su se stessi, che passa anche attraverso il piacere di un libro, di un pomeriggio di ozio...

mercoledì 22 ottobre 2008

la parte per il tutto


Per evocare un luogo è necessario scegliere il dettaglio che, da solo, fa scattare in chi legge l’immagine completa: la parte per il tutto. La mano che posa il bicchiere sul tavolo del bar contiene il bar, gli avventori, l’atmosfera.

metamorfosi



In natura, nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma (Lavoisier).
Vale anche in letteratura.

il paradosso


Veleni al Lingotto è in libreria. Sta per iniziare il carosello delle presentazioni. Ma tutto ciò mi giunge ovattato, distante. Già, perché ormai da due mesi sono alle prese con il nuovo romanzo, sono dentro le sue pieghe, nel suo tono, nei suoi scenari così vividi, dentro di me, da rendere la realtà quasi irreale.
Ecco il paradosso dello scrittore: non poter godere della scrittura se non esclusivamente nel momento artigianale della sua costituzione.

martedì 14 ottobre 2008

veleni al lingotto


...e intanto è uscito il mio nuovo giallo, dal titolo VELENI AL LINGOTTO (Fratelli Frilli Editori).

martedì 7 ottobre 2008

opinioni diverse


Lo scrittore deve impedire alle proprie opinioni (nel caso malaugurato in cui ne abbia) di emergere con troppa evidenza. L'ideale sarebbe che l'opinione dell'autore restasse invisibile. Per ottenere questo risultato, chi scrive dovrebbe abituarsi a far crescere dentro di sé più opinioni, anche opposte, dando loro pari e piena dignità.

lunedì 29 settembre 2008

fammi vedere!


Paolo Travers mi chiede se sia meglio conoscere per esperienza vissuta i posti dove si svolge una vicenda narrata oppure se un bravo narratore dovrebbe prescindere da una definizione dei luoghi troppo precisa. Ritengo che la risposta unica non ci sia. Calvino diceva di scrivere solo di ciò che si conosce, ma Salgari ha scritto dell'Asia senza mai essere andato oltre Verona. Io preferisco la teoria di Calvino, ma sto scrivendo un romanzo ambientato a Venezia (che conosco bene), dove però una scena si svolge su un’isola che non ho mai visto… Ciò che conta, a mio parere, è la credibilità interna che riesco a dare al mio testo, e questa credibilità interna dipende senza dubbio dai dettagli che riesco a ‘far vedere’ a chi legge (e se conosco il posto i dettagli saranno precisi), ma si innesca davvero solo quando questi dettagli sono presenti, come tracce generali, nella testa di chi legge. Detto diversamente: posso descrivere perfettamente un luogo, perché lo conosco, ma se chi legge non ‘vede’ nulla è perché non ho scelto, per la mia descrizione, quei tratti in comune fra il luogo descritto e l’esperienza di chi legge (ovvero di chiunque!). Salgari racconta la giungla con elementi descrittivi che sono già dentro di me, ed io perciò ‘vedo’ i luoghi.

accostamenti lessicali


Si fa letteratura ogni volta che si adattano o si accostano parole consuete per esprimere immagini nuove. Come nel caso di tuguri intellettuali, di Nicolàs Gòmez Dàvila, contrapposti alla torre d’avorio.

sabato 20 settembre 2008

sorpresa


Vi sono racconti che giocano sul punto di vista per determinare l’effetto sorpresa del lettore, come nel famoso La sentinella di Fredrick Brown. E’ un espediente sempre divertente, semplice da intuire, ma difficile da applicare, perché nemmeno un indizio relativo al vero osservatore deve sfuggire dalla trattazione. I giovani autori, a partire proprio da quel racconto, potrebbero esercitarsi nello stendere racconti che potremmo definire ‘dell’altro sguardo’.

forze


In un testo agiscono ovviamente forze interne, narrative, architettoniche, stilistiche, che contribuiscono, se dosate con sapienza, a dare forma all’insieme. Ma non bisogna dimenticare che altre forze, sebbene esterne, governano il testo, ed è con queste ultime che molto spesso l’autore si trova a dover combattere suo malgrado.
Si tratta ad esempio della pressione che un evento reale, non previsto, può esercitare su quel testo (guerre, fenomeni sociali e simili), dandogli una luce nuova, non voluta, talvolta negativa. O di modalità espressive che si impongono con forza nella società, o che vengono abbandonate, datando così ogni testo. Ma vi sono anche le forze esterne determinate dal clima generale, euforia o depressione collettiva, movimenti e mode...
L’autore, pur ignorando il tipo di forze esterne che il suo libro dovrà fronteggiare, deve essere in grado di controllarle, per evitare che danneggino il suo testo. Ma come? Prima di tutto evitando di caratterizzare eccessivamente la sua lingua con gerghi o modelli verbali, in secondo luogo collocando le vicende narrate in un’epoca precisa ma non databile alla perfezione. E soprattutto – soprattutto – ricordando sempre la profonda differenza che passa fra cronaca e letteratura.

martedì 9 settembre 2008

ordine e disordine


Un testo ordinato, ben confezionato, in cui tutto si incastra magnificamente, rischia di essere debole proprio a causa della sua stessa perfezione. Allo stesso modo, un testo erratico, caotico e disordinato può risultare ostico, suscitare avversione.
La cosa migliore è il disordine controllato, giocare con sfalsamenti strutturali senza pregiudicare un'idea generale di unità.

giovedì 4 settembre 2008

anacronismi


“Che cosa ti piace fare?”.
“Leggere”.
Quando si dà questa risposta accade che le persone più giovani replichino così:
“E fare qualcosa di più moderno?”.
Come se la qualità di un piacere non stesse nel grado di felicità che trasmette, ma dipendesse invece dal suo livello di modernità. Come se si provasse piacere perché si possiede o si fa una certa cosa, e non per come quella cosa eccita la mente o il corpo.
Giusto o sbagliato che sia questo modo di interpretare il piacere, lo scrittore deve sapere, ancor più di chi legge, di essere anacronistico, sorpassato, demodé, lontano dai giovani, uno di quelli che giocano a bocce mentre tutti hanno la play-station.
Insomma, va bene scrivere e leggere, ma bisogna farlo senza troppa boria, perché è roba giurassica...
(Foto di J-J. Fin)

gusti


L’autore deve credere ciecamente nei suoi testi, nella sua scrittura, difendendola da tutto e da tutti. Purché non pretenda però, infantilmente, che gli altri debbano condividere lo stesso suo entusiasmo (ogni scarafone, del resto, è bello a mamma sua...), i suoi stessi gusti.
Dunque, lo scrittore dovrà sottoporre il suo testo ad almeno dieci fidati lettori prima di considerarlo valido, e dovrà chiedere a questo ‘campione’ di lettori assoluta sincerità, specialmente sul piano del semplice desiderio di continuare a voltare pagina.

mercoledì 20 agosto 2008

il cavatappi


Scrivi, descrivi, scava alla ricerca del vocabolo proprio, affonda nella varietà lessicale, penetra nel mare dei sinonimi, sviscera ogni possibile esito sintattico, conficca la penna nella massa di toni fino a trovare il tuo tono, il tuo stile.

la scrittura cura?


Come è noto, alcune discipline artistiche, di recente, hanno assunto dignità di rimedi per disagi o malesseri. S. mi chiede se la scrittura può avere una sua valenza curativa. Con le debite cautele, posso dire che l’esercizio della scrittura, praticato con metodo e dentro un progetto chiaro, impone per tutto il tempo della seduta una accresciuta e fortissima presenza di sé, cosa del resto comune a ogni disciplina. E la presenza di sé, anche questo è noto, è indispensabile per governare e controllare le emozioni, con innegabile beneficio per molti stati alterati dell’essere.

Su un piano più astratto e per certi versi più fantasioso, la scrittura di un romanzo, o meglio la ‘discesa’ all’interno di un personaggio, può aiutare a spiazzare in parte la cosiddetta ‘memoria cellulare’, intesa come abitudini o automatismi acquisiti dal nostro corpo a causa di spinte sempre identiche: emotive, inconsce, respiratorie e simili. In altre parole, scavando a fondo nella struttura mentale del personaggio che sta creando, lo scrittore è costretto a rimodellare, volente o nolente, la propria mente, con inevitabili ricadute e riverberi sul corpo.

Infine, per quanto mi riguarda, trovo che la vera ‘terapia’, quando scrivo, discenda dalla concentrazione necessaria a tenere insieme la sintassi e la storia, la fluidità dei periodi con la sequenza logica, il dialogo e le digressioni. Una concentrazione che su di me è capace di debellare virus e batteri, errori posturali e cattive abitudini alimentari, compresa la fantomatica ‘memoria delle cellule’ (che, secondo S., esiste veramente…).

martedì 19 agosto 2008

costanza


Per una ragione che non so e non voglio spiegare, ho da sempre la sensazione che il mio anno interiore cominci a metà luglio. E’ quella l’epoca in cui di solito do inizio a un romanzo o definisco con maggior rigore i progetti a venire. E infatti, eccomi, puntuale, alle prese con il nuovo romanzo, che è ancora senza titolo. Ho stabilito di scrivere mille parole al giorno e sto mantenendo la tabella di marcia. Come dico spesso agli esordienti, per scrivere occorre possedere la forza titanica del travet, apprezzare la solitudine claustrale. Solo con la costanza della volontà (almeno per me) si ottengono risultati concreti.

lunedì 11 agosto 2008

cucire


Lo scrittore, come il sarto, deve lavorare molto di ago e di filo, per cucire insieme le parole affinché diano non solo senso, ma anche luce alla frase; poi deve cucire fra loro le frasi, per ottenere il nesso logico che le concatena, ma facendo anche in modo che ogni frase sfoci nell’altra con naturalezza e fluidità; poi dovrà cucire fra loro i capitoli o i brani per governare l’architettura narrativa, avendo però cura di garantire ritmo e interesse…

Insomma, si scrive con ago e filo, e poi con ago e filo e poi con ago e filo…

l'attenzione




La nostra attenzione - come è noto - si accende quando gli occhi notano un oggetto anche d'un nulla fuori posto rispetto a uno scenario conosciuto, o quando quello stesso scenario viene presentato con un diverso angolo visuale.
Lo scrittore farà bene perciò a ricordare questo carattere specifico dell'attenzione, quando vorrà rendere più viva l'attenzione del suo lettore. Potrà (o meglio: dovrà) ad esempio trovare accostamenti sostantivo-aggettivo non usurati, o dislocare l'aggettivo a inizio frase, seguito da soggetto e verbo.
Alle corte: bisogna scrivere per i sensi, anche sul piano dell'organizzazione spaziale delle parole.

venerdì 8 agosto 2008

pieno e vuoto


La quantità di bianco presente in una pagina scritta è sempre di gran lunga superiore alla quantità di inchiostro, per quanto fitte e compatte siano le righe.
Lo scrittore dovrebbe mantenere nel suo testo un analogo rapporto fra le cose che ‘fa vedere’ e quelle che nasconde dietro quel velo bianco che è l’arte di alludere.

martedì 5 agosto 2008

narrare e scrivere


Il narratore ha bisogno di una storia. Allo scrittore basta la sintassi.

Il narratore ti cattura (ovvero, tu vai verso di lui, entri nella storia che ti racconta e dimentichi te stesso). Lo scrittore ti libera (ovvero viene verso di te e ti apre nuove strade: le sue parole agiscono su di te e in te, suscitano la tua reazione e ti lasciano presente a te stesso).

Alle corte: il narratore va a capo spesso, lo scrittore ha pagine compatte.

mercoledì 30 luglio 2008

pennellate di parole


P.G.B. mi scrive per segnalarmi che in un suo giro in Langa ha sentito un modo di dire, usato dai vecchi del paese, per definire un trapasso sereno, dopo una lunga e sana vecchiaia: si è svegliata morta. L’efficacia è senza dubbio straordinaria (e in dialetto rende ancora di più, ovviamente).

La sera prima, L.T., in un gaio cenare, mi ha riportato una esilarante citazione tratta da Andrea G. Pinketts, dove si parla di una immaginaria località lombarda: Vergate sul Membro. Meravigliosa trovata.

Ecco uno degli aspetti più gradevoli della attività scrittoria: gli amici ti riportano le perle espressive del mondo, i tesori lessicali. Ce n’è da diventare ricchi (latu sensu...).

venerdì 25 luglio 2008

giochi visivi


Gli sfalsamenti visivi e i paradossi prospettici sono utili perché mantengono viva la pratica di vedere altro in quel che osserviamo. Del resto, uno degli obiettivi di chi scrive dovrebbe essere quello di rendere visibile ciò che si nasconde nelle pieghe dell'evidenza (e a ben guardare, l'evidenza risulta davvero più ricca di ombre che di luce...).

Non solo: l'atto stesso di scrivere svela aspetti ignoti di sè; svela i nostri limiti o le nostre possibilità in una misura di cui non avremmo avuto chiara nozione se non ci fossimo messi alla prova. Scrivendo, scopriamo così di essere noi stessi intimamente costituiti di illusioni ottiche, di oggetti nascosti, caratterizzati da false prospettive, da piani sfalsati...

martedì 22 luglio 2008

la terza dimensione



La percezione della profondità, delle tre dimensioni, è una elaborazione del cervello, come è noto: i nostri occhi, tecnicamente, vedono un quadro appiattito, che i neuroni trasformano nella realtà elaborando le linee prospettiche e organizzando le distanze.

Ora, chi scrive deve riuscire a dare al lettore lo stesso senso di profondità spaziale (ovvero la dimensione del reale), sapendo però che non può contare sul gioco naturale svolto dalla coppia occhi-cervello di chi legge.

Ma come si ottiene la ‘terza dimensione’ in letteratura? Non esiste una formula unica o magica, ovviamente, ma credo che abbia un valore importante, in questa faccenda, la capacità di alludere, dove si può, più che di descrivere. Grazie alla sapiente allusione, infatti, il lettore è obbligato a completare da sé ciò che nel testo non è detto, è portato a spingere più in là l’immaginazione, producendo nella sua mente l’equivalente dello sfondamento prospettico.

domenica 20 luglio 2008

Medio Evo...


Pare che si leggano sempre meno libri, in Italia. E guardandosi attorno sembra proprio che sia vero. I giovani vivono nel e sul web, dove l’atto del guardare sostituisce il gesto di leggere (sul web anche la lettura avviene nel modo del ‘guardare’). Moltissimi adulti, in questo nostro paese, si agitano come api in mille attività frenetiche, ma non leggono, non sanno ‘stare’, se non davanti alla tv, per guardare.
E io continuo a scrivere.
Alle corte: nel Medio Evo i lettori erano davvero pochi, in un mondo di analfabeti, eppure c’era chi scriveva, no?
(Foto di J-J Fin)

scomparsa


Ho iniziato il nuovo romanzo.
Sono solo alle prime pagine, ma già sento il caratteristico cambiamento di ‘polarità’, nella mia vita. Le cose di sempre mi appaiono lontane, i rapporti con le persone si diradano, rimando gli impegni, le notizie mi annoiano... Tutto ciò che attiene al ‘giorno’, per dirla in una formula, sta come ingrigendo, sfumando. Piano piano, la vita del romanzo, come un vampiro, succhia linfa alla vita reale rendendola anemica e insulsa.
Alle corte: scrivere è una disciplina che richiede tecnica, costanza, volontà, ma che esige, sopra ogni altra qualità, la forza per accettare la scomparsa del mondo e dal mondo, senza la quale - almeno per me - il testo suonerà posticcio, artificiale.
(Foto di J-J. Fin)

martedì 15 luglio 2008

vele spiegate


Che cos’è, alla fine, che fa ‘andare avanti’ un testo, che cos’è che invoglia a continuare la lettura? Come per il tempo in Agostino di Ippona, se non me lo chiedi lo so, se me lo chiedi non lo so. In genere sappiamo che un testo ci cattura e un altro ci annoia, ma non è facile dire con precisione da dove venga la spinta a proseguire.

Che sia la sintassi (come credo io) a dare energia propulsiva alla scrittura, che sia la capacità di far camminare la storia o altro, è però necessario che questa energia assuma un carattere rotondo e plastico, e soprattutto silenzioso, capace di ‘gonfiare’ il testo facendolo muovere senza attriti interni, proprio come fa il vento con le vele. Niente a che vedere con il burbero e chiassoso rodere dei motori… (foto di J-J. Fin)

lunedì 14 luglio 2008

risorse


Leggere, tra le altre cose, permette di accedere e penetrare in profondo all’interno di altre personalità, di altri caratteri umani, diversi anche le mille miglia dal nostro. Già, perché ognuno di noi, bene o male, col tempo, non fa che affinare e perfezionare la sua unica e singola personalità, grazie alla quale reagirà in un preciso modo (e solo quello!) ai casi del mondo.

Ma affrontare le mille insidie del mondo con una sola personalità è davvero perdente.

Invece, se hai letto molto, e se hai davvero fatto vivere in te i mille personaggi dei romanzi, ecco che hai a disposizione una riserva di comportamenti, e potrai scegliere la reazione più giusta per ogni situazione, calandoti di volta in volta nel personaggio che meglio l’ha affrontata. Così, un giorno, in una contesa amorosa, potrai esibire la timidezza del principe Myskin, se necessario, e un altro giorno potrai adottare la scaltra e sbrigativa maniera di Georges Duroy, in un’altra situazione. E che dire di poter usare i modi di Bartleby, in ufficio, quando serve?

martedì 8 luglio 2008

ira


L'ira, o peggio lo scatto d'ira, è davvero la più vieta e immatura delle umane reazioni, segno di impotenza, per lo più, di vigliaccheria, in altri casi, o di insana dipendenza da quel 'flash' psichico che genera.

Non bisogna mai scrivere quando si è preda di una passione, meno che mai quando si è sotto la spinta dell'ira. E tuttavia può essere interessante, in qualche caso, ripensare all'energia scatenata dall'ira e cercare di riviverla dentro sé come stimolo per riprendere a scrivere se qualche delusione ha frenato o interrotto la piena attività.

Così, tramite la disciplina della scrittura, anche un 'peccato' odioso come l'ira può tradursi in una virtù (e viceversa).

martedì 24 giugno 2008

avarizia


L’avarizia è forse il peggiore dei peccati. Ma applicata alla scrittura può dare buoni risultati. Infatti, l’avaro trattiene per sé quanto più può, limitandosi a cacciar fuori solo lo stretto indispensabile. Una simile disposizione d’animo è salutare, quando si scrive, specie quando, da giovani, si è portati a dir troppo, a dire tutto, a lasciare orme pesanti dietro sé.

Pitagora diceva che bisogna parlare solo quando si ha da dire qualcosa di più bello del silenzio e in pratica segnalava la necessità di essere avari di parole.

Dunque, poche parole: per poter essere precisi, per poter essere incisivi, per poter essere ricordati.

lunedì 23 giugno 2008

lussuria


Il cosiddetto ‘peccato capitale’ definito come lussuria produce, come tutti sanno, uno stato psichico iperattivo e una conseguente formidabile ricettività dei sensi. Ogni tanto ricostruisco dentro me quella sorta di frenesia mentale, di energia profonda che genera veemenza e al tempo stesso impone paziente regìa, per dedicarmi alla scrittura. Ovvero, accedo alle parole come se muovessi verso un inesplorato consesso amoroso.

I testi prodotti sotto l’influsso di quella vibrante condizione risultano di solito ben riusciti (e ovviamente si tratta di testi d'ogni tipo), ma ciò che conta è che alla fine della stesura ci si sente appagati, vivi, come se tutto avesse davvero un senso compiuto.

venerdì 20 giugno 2008

l'inedito recensito

Roberto Gualducci gioca con il genere noir, nel suo inedito Un fantasma al citofono, campionando, per così dire, linguaggio e caratteri della mala genovese nei locali malfamati e nelle bische clandestine dei celebri carrugi di Pré e dell’angiporto. L’intreccio è rarefatto, mosso, con effetti qua e là stroboscopici, poiché l’occhio narrativo segue, più che una vera trama, le peste del semplice (ma non stupido) autista dei gangster, che svolge il suo lavoro con l’imperturbabile mitezza di un impiegato modello, prezioso per fare il pesce in barile con la polizia e però legato ai suoi piccoli riti quotidiani, alle prese con l’affitto mensile della sua stanza. Ne nasce un impasto crudo e delicato a un tempo, un esercizio di stile tra le pieghe della notte, sul tema, caro all’autore, del personaggio che rimane candido nel cuore nero del mondo.

mercoledì 18 giugno 2008

accidia


E’ bene non avere un'unica modalità di accostamento all’atto dello scrivere.

A esempio, mi piace accedere alla composizione del testo anche sotto l’impulso, vasto e differenziato, che spinge verso i cosiddetti 'peccati capitali'. In certi casi, dunque, scrivo con la stessa disposizione di spirito che ho quando ozio, quando mi dedico pigramente al nulla: osservo la pagina bianca o le poche righe composte fino a quel punto e non mi sforzo più di tanto per proseguire. Sbircio senza intenzione le parole, più che agire sulla frase, lasciandomi andare alle mille associazioni gratuite che quelle sanno evocare. In questo modo ho trovato, a volte, soluzioni estetiche che non sarebbero mai apparse se avessi adottato i consueti modi del comporre… Alle corte: da una condizione accidiosa sono nate spesso forme lessicali impreviste e curiose, o sono sorti sviluppi narrativi sontuosi.

lunedì 16 giugno 2008

continuità


Chi scrive deve scartare molto, avere il coraggio di eliminare intere sezioni se non addirittura tutto il lavoro svolto. Ma come accade in natura, dove nulla si crea e nulla si distrugge ma tutto si trasforma (Lavoisier), così accade nel mondo della scrittura: il materiale eliminato non scomparirà nel nulla, ma sarà riutilizzato, in altra forma, o come recupero inconsapevole, o sotto forma di esperienza sintattica acquisita, per i lavori successivi.

Da questa prospettiva, sarà un po’ meno doloroso, per l’autore giovane, rinunciare a parte del suo lavoro. Poi, con il passare del tempo, lo scrittore attento vedrà senza dubbio in tutte le sue opere, anche quelle distanti fra loro, i fili segreti, fatti di scarti, che tengono il tutto in equilibrio, in una continuità che somiglia al respiro.

il rubinetto che perde


Lo scrittore deve abituarsi ad avere costumi e abitudini contrarie a quelle indicate dal buon senso. Ad esempio, non deve riparare il rubinetto che perde, ma sopportare il fastidioso stillare della goccia, ovvero, fuor di metafora, deve contrastare il meno possibile il flusso erratico e caotico del mondo, poiché è da quella naturale propensione al disordine che nasce la varietà delle storie.

domenica 8 giugno 2008

fuori di sé


“Non ho tempo di leggere, sono sempre in macchina,” mi dice F.
Forse F. non sa che esistono gli audiolibri, e forse ignora che è davvero bello guidare mentre si ascolta la lettura di un romanzo per radio (ad esempio, io cerco di non perdermi, quando la mattina sono in macchina, le letture dei classici su Radio 3, dalle 9,30 alle 10).
Sentire leggere è una esperienza piena e completa, che oltretutto attiene al bisogno primo, poiché all’inizio, si sa, c’è il racconto orale.
Ma forse F. non legge i libri e non ascolta gli audiolibri semplicemente perché a lui non interessa, perché la sua testa è costantemente altrove, risucchiata da vortici di cose che stanno al di fuori di lui.
Alle corte: leggere e sentire leggere sono atti che costringono a ‘essere in sé’, mentre alcuni preferiscono restare ‘fuori di sé’.

lunedì 26 maggio 2008

serietà e papille


"Ha mai pensato di scrivere un libro serio?" mi chiede Luigina Ambrogio, in un'intervista per il suo giornale.

Io sono convinto di avere scritto esclusivamente libri seri. La presenza dell’elemento comico, del paradosso, del linguaggio colorito, non minano la mia intenzione letteraria, ovvero non sono espedienti per un facile consenso. Credo per esempio che Gargantua e Pantagruel sia un’opera serissima sebbene faccia sganasciare dalle risate. Dico che scrivo solo libri seri, anche se intrisi di comicità, perché mi impegno sempre su ogni riga, parola per parola, per far sì che la sintassi, la storia, lo stile incatenino il lettore alla pagina. Ma non basta una bella storia o qualche tratto scollacciato per sedurre il lettore, per tirarlo a sé. Il lettore, ogni lettore, anche il meno smaliziato, si rende conto istintivamente se viene sedotto o no da un testo. E’ come per il cibo, tutti riconoscono il cibo buono. E gli strumenti di questa operazione, di questa cattura, sono la sintassi, lo stile, il tono. Le frasi devono scivolare una nell’altra con fluidità, i periodi devono essere ‘massaggiati’, spostando avverbi e trovando sinonimi, fino a farli diventare morbidi e lisci. Si tratta di tecnica, solo con la tecnica si può sperare di far partecipare e vibrare chi legge.

In ogni caso, annuncio che il mio prossimo romanzo, Veleni al Lingotto (Frilli editori), sarà assai meno licenzioso di Piombo a Stupinigi.

sabato 17 maggio 2008

osmosi


Poiché scrivo, da molti anni faccio il possibile per non 'avere idee', intese come opinioni fisse e immutabili, e per non 'farmi idee' (intese come giudizi su persone, cose, concetti), cercando invece di dispormi in forma osmotica rispetto al mondo, vale a dire assorbendo il più possibile le qualità essenziali di ogni aspetto, i dettagli di ogni cosa. Così, nel corso del tempo, ho cercato più di 'assorbire' che di giudicare o valutare. E perciò il mio presente è a tutti gli effetti più simile una vasta fluttuazione vibrante (luce e ombra, curve e rette, tutto insieme) che non a un matematico risultato di esperienze, e relative analisi, condensate nell'oggi.
Naturalmente, quando parlo di 'assorbire' cerco di stare molto attento nel selezionare ciò che è essenziale da ciò che è contorno, corollario o addirittura scoria, e perciò adotto filtri specifici grazie ai quali mi sembra di poter valutare, nel gran numero di stimoli offerti, ciò che risuona come irrinunciabile (è l'istinto a cogliere questi elementi), scartando così ciò che si caratterizza come non essenziale se non addirittura negativo e determinato per lo più dalle umane debolezze. Ma attenzione: ciò che scarto non sparisce del tutto, finisce nei libri, proprio come l’essenziale.

ancora il ferro da stiro

L’abitudine di scrivere con l’obiettivo di ‘distendere’ per bene ogni frammento del proprio pensiero, su questo o quel tema, risulta straordinariamente utile, in seguito, quando si lavora alla stesura di un romanzo, ovvero quando sarà necessario possedere la massima competenza nel ‘distendere’ una scena nelle varie sequenze di cui è composta, per ‘far vedere’ davvero ciò che accade.

il ferro da stiro


La maggior parte dei miei scritti non ha alcuna relazione con l’eventuale pubblicazione. In massima parte, scrivo per portare chiarezza nei miei stessi pensieri, per vedere in profondità le mie strutture mentali, vale a dire per scoprire fino in fondo che cosa penso davvero e se lo so dire, dato che se non so descrivere con chiarezza ciò che penso, forse è perché le idee stesse non sono chiare (“migliorare lo stile significa migliorare il pensiero”, F. Nietzsche).
Solo ‘stirando’ pazientemente ogni propria ideuzza, stendendola ben bene nei passaggi logici e sintattici, si riesce a scorgere la vera natura dei propri pensieri.