L.T. mi racconta di una sua idea per un romanzo. Seguo ammirato la breve trattazione, lodo la gaia perentorietà del titolo e intanto penso che le ‘idee per un romanzo’ potrebbero costituire a loro volta, e a pieno titolo, un nobile genere. Certo, viene subito in mente Centuria di Manganelli, ma quello stesso autore ha (e ha avuto) fama di eccentricità stilistica. No, quando dico che le ‘idee per un romanzo’ dovrebbero meritare un ruolo più compiuto intendo davvero qualcosa di domestico e generale: ogni autore, insieme ai lavori finiti, dovrebbe di tanto in tanto rendere pubblici i grumi narrativi, i germogli di storie, gli stimoli estetici che, trascritti sul retro di una busta e sul biglietto del cinema, sono stati accantonati in una cartellina dal titolo ‘idee per un romanzo’ (quale scrittore non la possiede?), dove giacciono. Il motivo: nella ‘idea per un romanzo’ è spesso contenuta la massima quantità di energia creativa, talvolta così concentrata da non poter essere diluita in un romanzo.
domenica 30 dicembre 2007
sabato 29 dicembre 2007
semplice e facile
Bisognerebbe amare i testi semplici e odiare quelli facili. La semplicità, infatti, è il traguardo cui giungono i migliori scrittori, ovvero coloro che hanno davvero sbozzato la pietra espressiva lavorando di martello e di cesello fino ad ottenere la forma pura e leggera. E attenzione: la semplicità, così faticosamente ottenuta, arriva poi a tutti, viene apprezzata da chiunque.
La facilità (scrivere in ‘maniera facile’, leggere ‘cose facili’), al contrario, sembra invece l’esito infelice della pigrizia mentale, sia di chi fa e sia di chi riceve.
il tappeto
Non lasciamoci ingannare: la fluidità di un testo, percepita da chi legge, è inversamente proporzionale al lavoro svolto sulla costruzione sintattica ed è al postutto un faticato punto di arrivo, il risultato di imponenti moti strategici e tattici dei componenti in gioco. Un testo risulta infatti fluido alla lettura, scorrevole, capace non solo di trattenere il lettore sulla pagina ma addirittura per così dire di spingerlo avanti lungo la sequenza dei periodi (come se ti venisse tolto il tappeto da sotto i piedi...) soltanto alla fine di un meticoloso e ostinato sforzo su ogni singolo mattoncino lessicale.
mercoledì 26 dicembre 2007
scrivere con l'udito
autore e lettore
il lettore
Osserva – le consiglio - dapprima tutto ciò che è proprietà: ortografia, sintassi, tempi verbali e simili. Poi valuta gli elementi stilistici: uso della lingua, tono (il tono è fondamentale), struttura dell'opera, capacità di costruzione dell'intreccio, abilità nel farmi andare avanti a leggere, ricordando sempre che l’esercizio della critica letteraria è cosa diversa dalla valutazione del lettore. Ora controlla se nell’opera c'è un dato creativo, qualcosa di nuovo nello stile, nella forma, nell’orchestrazione, e infine valuta se ciò che si racconta è pregnante, significativo, degno di nota.
Direi che può essere considerato degno di nota il testo in cui sono sufficienti tutti e quattro questi livelli. Ma se un testo è geniale, ma davvero geniale, anche solo su un parametro, allora bisogna mandarlo avanti in ogni caso.
martedì 18 dicembre 2007
contrappeso
La scrittura allude a un desiderio di scomparsa? Forse sì.
Per quale ragione, infatti, si dovrebbe scrivere, se non per porre fra sé e il mondo un filtro? Scrivere, è vero, è utile a chi scrive perché fornisce un formidabile aiuto alla comprensione di sé e del mondo, ma questa è una ricaduta di cui ci si avvede dopo aver già deciso di scrivere… E si è deciso di scrivere, probabilmente, per arretrare dal turbinoso palcoscenico del giorno, per tenersi fuori dalla mischia. Dunque, si scrive per fuggire dal mondo. Ma poi, d’improvviso, si desidera essere riammessi d’ufficio, in quel mondo, attraverso la pubblicazione. Che il desiderio di vedersi pubblicati non sia altro, dunque, che l’esatto contrappeso di quella volontà di scomparsa da cui è nato lo scrittore?
si scrive sempre
Chi scrive, scrive sempre. Quando scrive, ovviamente, ma anche quando non scrive, quando, per scelta o per accidia, assume l’atteggiamento passivo e distante di chi passa di lì per caso. Chi ha contratto l’attitudine di scrivere, infatti, conserva il metodo di tradurre ogni scena vista, ogni dettaglio percepito, profumi e sensazioni compresi, in una struttura sintattica compiuta. Magari non se ne rende nemmeno conto, ma lo fa (e chi non lo fa, probabilmente, non è ancora ‘uno che scrive’). Così, accade che anche nei periodi di minor dedizione all’atto di scrivere, lo scrittore continui a scrivere, in quella forma intima, sorta di seconda pelle, che è il percepir-scrivendo. Si tratta di una scrittura che svapora mentre si fa, ma non per questo destinata a perire: ammassata in un archivio mentale, sorgerà da sé, tempo dopo, come un’urgenza, come una necessità di espulsione…
domenica 25 novembre 2007
dissoluzione
E invece – inspiegabilmente – vi sono molti scrittori che vivono nella piena convinzione di essere i più grandi autori viventi. Azzardo una possibile spiegazione: forse questi autori non hanno mai davvero ‘scavato il buio’, non hanno mai davvero disperso il loro io nel quotidiano atto di scrittura, non sono mai andati al di là dell'esercizio svolto con modalità note.
E dunque i loro testi non potranno essere che mediocri.
giri di campo
I testi precedenti, ovviamente, non dovrà buttarli, poiché magari sono buoni per altre epoche o per altre occasioni, ma dovrà ricordare che quelli sono stati i giri di campo grazie a cui ha sviluppato i muscoli che gli hanno permesso di realizzare l’impresa.
pensare al lettore
Ma a quale lettore deve pensare?
Il lettore generico, si sa, non esiste, poiché la lettura, come la scrittura, è esperienza ad alto contenuto individuale. Potrebbe scrivere pensando a un singolo lettore, attingendo dalla cerchia delle sue conoscenze, ma in questo modo, adattando il suo testo a quella persona, escluderebbe tutte le altre tipologie umane. Meglio allora se tenta di rivolgersi a una fascia di lettori, che so, i giovani, il ceto medio, i raffinati esteti, ma con il rischio di perdere di vista la fisiologica caratteristica del testo, ovvero quella di nascere da un singolo individuo per rivolgersi a un singolo individuo (che può anche diventare massa, ma massa di individualità). E allora?
C’è una terza via possibile: l’autore dovrebbe scrivere per il lettore che lui stesso è stato. Ma si badi, non il lettore maturo e smaliziato che è diventato a forza di libri, ma il lettore avido e appassionato che è stato quando ancora non aveva creato gerarchie del bello.
tre requisiti
L’editore pubblica quel libro, ma in realtà scommette al buio su un parallelepipedo di carta.
Solo il lettore potrà dire se il manoscritto e il parallelepipedo sono diventati un libro.
Infatti un libro è tale se possiede almeno tre requisti: il primo, che l’autore governi (o inventi, in rari casi) gli strumenti lessicali, sintattici, narrativi, strutturali della composizione; che l’autore abbia qualcosa da dire, intendendo con questa formula non soltanto aspetti di contentuto ma anche (forse soprattutto?) formali, espressivi, di tono e simili, grazie ai quali l’editore si senta pronto a scommettere; infine, è necessario che il lettore sia catturato, anche inconsapevolmente, dalle soluzioni proposte dall’autore.
In assenza del terzo requisito è difficile dire che l’autore abbia scritto un libro.
E’ bene perciò che l’autore tenga sempre sul suo tavolo una foto del lettore, piuttosto che il proprio ritratto.
domenica 11 novembre 2007
lievito
venerdì 26 ottobre 2007
o vivo o morto
Esiste anche lo scrittore vivo, senza dubbio, quello che parla, incontra gente, chiacchiera, guarda la televisione. Succede che qualcuno incontri lo scrittore vivo e cominci a fargli domande su come scrive, sul perché scrive. Lo scrittore vivo tace. Non può rispondere, non conosce le risposte. Sono concetti noti soltanto allo scrittore morto. L’interlocutore insiste, e allora lo scrittore vivo è costretto a dichiarare di non essere la persona adatta a rispondere.
organizzazione
Partiamo a esempio dai ricordi. Non ci si deve accontentare del naturale scenario evocato da un ricordo, ma bisogna avvicinarsi sempre più al quadro che va formandosi nel buio della mente, indagare nelle zone in ombra del ricordo (chi c'era, lì, sullo sfondo? di che colore era la mia camicia?). Soprattutto, all'apparire di un ricordo, non si deve restare immobili e inebetiti davanti all’immagine evocata, ma occorre invece darsi un gran da fare per dare il nome a tutto ciò che via via appare.
Alle corte: solo una continua e costante attività di organizzazione mentale (di qualunque tipo sia, s'intende) porterà il sedicente scrittore al compimento dell'opera.
domenica 21 ottobre 2007
scrivere racconti
Il giovane autore che sceglie questa strada dovrà dunque dedicarsi con pazienza alla stesura di racconti adottando stili diversi, passando magari per una fase preliminare in cui i testi composti possono suonare alla maniera di più che propri. Non c’è nulla di male in ciò: tutti i pittori non hanno forse cominciato copiando per esercizio i grandi maestri che li hanno preceduti?
A. è un autore giovane e dotato di talento che ha tessuto una serie di racconti non tutti di pari livello, proprio come se esplorasse, al fine di conoscere davvero il passo che gli è più congeniale, diversi modelli narrativi. I suoi racconti paiono uno studio preparatorio delle proprie potenzialità espressive piuttosto che un lavoro pensato organicamente. Ed è proprio così che deve concepirlo: come uno studio preparatorio. Del resto, il compito più alto, per un autore, è quello di raggiungere un proprio stile. Ma per arrivare a quel traguardo occorre che l’autore si misuri e si eserciti su svariati processi di composizione, esplorando la varietà di forme sintattiche, di registri, di toni e di strutture testuali di cui dispone (ed è buona cosa disporne di alcuni), fino a riconoscere e perfezionare un suo proprio passo, una sua voce personale.
mercoledì 10 ottobre 2007
scintillio
C. apprezza la scrittura in cui trova ‘acume e scintillio’.
Ma che cos’è, di preciso, lo ‘scintillio’? La risposta non è facile, poiché in questi casi si fa riferimento più a sensazioni (come è giusto che sia) che a precisi dati tecnici presenti nel testo. E però chi scrive dovrebbe cercare di darsi proprio risposte come queste, se vuole governare a pieno la sua sintassi. Proviamo a cercare le ragioni dello ‘scintillio in un testo’, allora, partendo da una premessa. In un romanzo, l’attenzione è di solito tenuta desta dal fatto che un personaggio fa qualcosa. In un testo di tipo saggistico, invece, non vi sono personaggi che agiscono, ed è perciò la sequenza logica dei concetti a generare l’interesse. Ma l’attenzione o l’interesse non sono ancora lo scintillio, il quale deriva da un ‘di più’ di interesse, da una di luce più vivida che sfugge dal testo. Chi genera quel ‘di più’? Tentiamo ora la risposta.
In un romanzo, dove c’è chi fa qualcosa (i personaggi), credo che lo scintillio venga prodotto dalla capacità della sintassi di concatenarsi con potente consequenzialità logica, grazie ad avverbi e congiunzioni, così da generare in chi legge la sensazione che la pagina venga tirata su come un tappeto, portando tutto con sé.
Un saggio invece scintilla quando un concetto si mette a fare qualcosa, alla maniera dei personaggi di romanzo, come può essere una metafora che assume vita propria popolando di suoi rimandi i concetti successivi (se parlo della letteratura inedita come parte sommersa dell’iceberg, ad esempio, dirò poi che gli autori inediti osservano il fondo marino e simili).
Alle corte: quando il testo svela la sua potente capacità metamorfica, ecco che produce effetti incantatori e scintillii.
domenica 7 ottobre 2007
talento e strategia
Poi, però, a opera conclusa, è legittimo che l’autore desideri vedere la sua fatica condensata in un libro. Ma attenzione, le doti messe in atto per la stesura del testo sono del tutto inutili al fine di raggiungere questo secondo obiettivo, così come la qualità stessa del lavoro, da sola, non è sufficiente a traghettare il testo alla dimensione di libro.
Alle corte: l’autore deve scegliere una strategia, armarsi di destrezza e sviluppare capacità relazionali se vuole che il suo testo si trasmuti in libro (il verbo ‘trasmutare’ non è scelto a caso, poiché la metamorfosi del testo in libro si compie di pari passo con la mutazione alchemica dell’autore).
venerdì 5 ottobre 2007
testo e libro
L’errore sta tutto nel pensare al libro durante l’atto di comporre un testo.
Il libro, infatti, è un oggetto che assolve svariate funzioni, fra cui anche quella di contenere un testo. Inoltre, il libro è un oggetto progettato e realizzato da più persone (autore, editore, grafico, tipografo, distributore, libraio...) per soddisfare esigenze di più categorie umane e sociali.
Il testo, invece, è l’esatto risultato di un processo interno, tecnico e creativo. Il testo nasce dal disegno estetico dell’autore e si nutre esclusivamente delle sostanze fornite da chi scrive.
Alle corte: il testo non ha bisogno del libro, ed è perciò bene che l’autore non pensi al libro, mentre scrive.
domenica 30 settembre 2007
competenza
Avere acquisito una competenza significa conoscere i fondamentali di una disciplina: saper nuotare e saper andare in bicicletta sono competenze. Ma queste competenze non sono automaticamente connesse con il primato. Infatti, chi sa andare in bicicletta o chi sa nuotare non è e non sarà necessariamente un olimpionico. Così, la competenza nella scrittura, da sola, non porta d’ufficio alla ribalta letteraria. Ma è certo che senza la competenza non si accede a nessun luogo dello scrivere. Quindi, la cosa più importante è chiedersi quanto siamo disposti a sacrificare per la scrittura, in termini di tempo e di pratica quotidiana. Il fatto è che per acquisire la competenza nello scrivere bisogna in qualche modo ‘votarsi’ alla scrittura, considerare il proprio impegno letterario come un secondo lavoro (se non il primo), indipendentemente dai risultati immediati che si colgono.
domenica 23 settembre 2007
il progetto personale
N. dice che il suo unico sogno è quello di pubblicare.
Gli faccio notare che non ha ancora terminato la sua prima scomposta prova, ma capisco, prima di finire la frase, che il suo desiderio di pubblicare nasconde il vero obiettivo, che è quello di apparire.
Taccio, ma vorrei dire che pubblicare e apparire sono esperienze del tutto differenti, quasi sempre non contigue. Soprattutto, vorrei indicargli la gerarchia dei valori, in questo campo. Al primo posto, infatti, ci deve essere il progetto personale, quale a esempio: “Nei prossimi tre anni voglio cambiare casa, comprare un quadro e scrivere un romanzo.” Perché è solo il progetto personale che dà senso a sé e alle cose. Se poi si riesce davvero a comporre il testo, voilà, il traguardo è raggiunto. La eventuale pubblicazione è solo uno dei possibili sviluppi di quel lavoro, non il naturale esito. E non dipende solo dalla qualità dell’opera. Ma se anche il romanzo fosse poi pubblicato, l’evento avrebbe riflessi esclusivamente nel piccolo mondo dei lettori, e non tutti, ovviamente, leggeranno quel libro.
Alle corte: tutto ciò che cosa ha in comune con l’infantile e grossolano desiderio di notorietà?
martedì 18 settembre 2007
concime
Una antica regola alimentare sostiene che il nostro organismo è predisposto, lungo l’arco delle ventiquattro ore, su tre modalità biologiche: da mezzogiorno alle venti è pronto per ricevere il cibo, dalle venti alle sei del mattino seguente lo assimila, dalle sei alle dodici si eliminano le scorie.
Ho già detto che il cervello e l’intestino (i miei, almeno) sono lo stesso organo. E dunque leggo di pomeriggio (il nutrimento), assimilo durante la sera e nel corso della notte evitando dunque di leggere o scrivere in quelle ore, ma scrivo rigorosamente al mattino, per eliminare le eccedenze e le scorie.
E a chi obietta che i libri non sono sterco basta dire che si tratta di concime.
lunedì 10 settembre 2007
i crostini di Gigio
Stiamo bevendo un bicchiere di vino all’osteria L’Achiugheta di Venezia e intanto, dietro il bancone, Gigio, il cameriere, accomoda su un grande piatto numerosi crostini di pane. Poi, con molta concentrazione, distribuisce su ognuno di essi prima un pizzico di sale e dopo una spruzzatina di pepe. Quindi fa scendere su ogni crostino, dalla bottiglia prelevata sul ripiano, un filo d’olio, dosandolo con millimetrica precisione affinché cada proprio al centro e in quantità fissa. Ora osserva il tutto, attende qualche secondo che l’olio venga assorbito dal pane e poi inizia a sistemare sul suo schieramento, con studiata meticolosità, una dopo l’altra, le morbide strisce di peperone arrostito che sceglie attentamente da una ciotola lì vicino. Alla fine riprende il giro, ma questa volta per poggiare con delicatezza due acciughe marinate sopra ognuno degli ormai opulenti crostini. Ecco, adesso il piatto è pronto per essere posto sul bancone, a disposizione dei clienti, ma prima di abbandonarlo, Gigio gli getta ancora un lungo sguardo circolare scrutando al tempo stesso l’insieme e ogni singola parte, come se compisse una sorta di revisione generale.
Ecco, ho detto tra me, è così che si scrive.
uso e etimo
E’ senza dubbio certo che l’unico vero lasciapassare di una parola è al postutto la lingua d’uso, sia per la forma (vespertillo divenne pipistrello nella lingua d’uso e tale oggi è la forma corretta) e sia sul piano semantico (fesso ha allargato il suo senso da participio di fendere fino al noto bonario insulto, e ora fesso allude solo alla stupidità). E tuttavia, nonostante la forza dell'uso, io non riesco a usare il termine esatto per esprimere il concetto di giusto, corretto, tanto risuona forte in me, in quella parola, il participio di esigere. Così come non riesco a dire o scrivere egregio, a causa della presenza del gregge in quell’aggettivo.
Alle corte: l’etimologia è un formidabile argine contro una sorta di naturalezza dell’uso, a causa della quale si tende a far proprie tutte le parole per puro contagio espressivo.
Ma si badi, percepire di tanto in tanto le parole alla luce della loro origine o della loro storia è attività esente da pose di puristi o da schemi ideologici: è solo questione di orecchio.
martedì 4 settembre 2007
deriva
Lo scrittore sperimenta parola dopo parola e riga dopo riga quanto sia potente e necessario il dubbio. Chi scrive sa che basta un piccolo evento per abbattere quella sottile barriera di protezione, fatta di certezze e convinzioni, con cui ha rivestito il caos furibondo che lo abita. Scrivere impedisce che questa barriera si rafforzi, scrivere impedisce l’intasamento e neutralizza il desiderio di imporre con rigidità un ordine assoluto a ciò che assoluto non è. Di fatto, chi scrive ha scoperto, anche solo per ragioni di scelte lessicali, che ogni certezza tende a ispessire la barriera, a intasare.
Alle corte: è assurdo chiedere opinioni a chi ha scelto, suo malgrado, il dubbio e l’incertezza, a chi ha reso le sue convinzioni fluttuanti per lasciarle andare un po’ alla deriva…
martedì 28 agosto 2007
fermentare
Fermentare è alla base della vita: fermentano il pane e il vino, per diventare tali. E l'intestino ha bisogno di fermenti per funzionare.
Ho sempre sostenuto che il cervello e l'intestino sono lo stesso organo (anche nella forma, se ci si pensa) e hanno funzioni analoghe: ricevono, elaborano, assimilano ed espellono, se l'organismo è sano. Il cervello riceve immagini e suoni e parole (ovvero il cibo), elabora e genera pensieri (la digestione), trattiene ricordi e produce una 'filosofia' propria (gli elementi che nutrono), espelle il risultato dei pensieri (non c'è bisogno di analogia).
In pratica, per star bene non bisogna essere stitici, bisogna scrivere, se no i pensieri si accumulano nella testa e occludono. E appena espulso un pensiero bisogna tirare l'acqua e passare ad altro, se no si resta infantili.
ricordare per scrivere
E per ricordare occorre di volta in volta appuntare in forma di frammento il ricordo che è stato evocato magari da un balcone fiorito o dalla penombra di un porticato. Questo lavoro di annotazione deve essere svolto con metodo, ed è perciò necessario avere sempre con sé il taccuino su cui trascrivere, nel momento stesso in cui il ricordo emerge, quel dettaglio o quel colore. Poi, con calma, si dovrebbe passare alla stesura più meditata organizzando il materiale raccolto in una struttura narrativa o più semplicemente, senza scomodare Proust, in una cornice descrittiva. Oppure, e credo sia la cosa migliore, è sufficiente lasciare i frammenti trascritti sul calepino così come sono nati (a patto di averli scritti con la massima cura sintattica pur nel fervore del momento), vale a dire lasciando intatto, in quel breve testo, il lampo di verità trasfigurata che è il ricordo.
Ma attenzione, scrivere i ricordi non vuol dire comporre l’autobiografia, che richiede un progetto, ma significa catturare, nel flusso del presente, lo spontaneo apparire di bruscoli di passato.
Alle corte: i ricordi affiorano come relitti e devono perciò galleggiare sulla pagina allo stesso modo, senza connessioni dirette.
lunedì 27 agosto 2007
scrivere per ricordare
Credimi – ho risposto - l'unico modo per far rivivere le cose è quello della scrittura. Purtroppo, però, chi scrive non rivive davvero l'esperienza evocata, ma ne respira soltanto gli ultimi profumi, poiché per restituire davvero ciò che si vuole far riemergere occorre lavorare duro di sintassi, di vocaboli scelti con cura, di ritmo. Così, chi scrive rievoca poco, ma chi legge, se l'autore ha faticato (sacrificando il suo proprio ricordo), rivivrà le esperienze altrui godendone appieno. Dunque, bisogna scrivere, non c'è altro modo per salvare i propri ricordi, ma sapendo che li si rende disponibili per gli altri, più che per sé. La storia della vecchina morta sola e senza figli, senza lasciare ricordi di sé, è molto bella, ma non è vero che nessuno ha raccontato nulla di lei. Grazie alla tue parole, io, oggi, ho saputo della sua esistenza, ed è come se la avessi vista. Dunque, non è poi così vero che si scompare del tutto. Ma bisogna scrivere e scrivere, per ricordare, tenendo comunque a mente Qoelet: "Né di un sapiente, né di un idiota avrà memoria il tempo." E al tempo stesso sapendo però che ogni nostra parola (e gesto, e sguardo) interagisce con il mondo e lo cambia per sempre, cosicché risulta impossibile scomparire...
Insomma, tutto è duplice, e muta, e sfugge e resta. E scrivendo si raddoppia la duplicità ma anche il mutamento, e si moltiplica l’assenza ma anche la presenza.
giovedì 9 agosto 2007
pubblicare
Caro R. - gli ho risposto - ritengo che tu sia un buon scrittore, ma del tipo che definirei 'scrittore giovane'. Non per l'età e nemmeno per i temi trattati, ma per il bisogno di pubblicazione che ti anima. Tale bisogno, bada, è comune a chiunque scriva, ma è prepotente nel 'giovane scrittore', ed è un bisogno capace di produrre anche molta frustrazione, se disatteso.
In effetti, essere giovani vuol dire vivere ancora nel pieno della stagione delle illusioni.
L'illusione, tuttavia, non è quella di pubblicare, ma quella di credere che la pubblicazione potrebbe dare un senso alla tua vita, alle cose che fai. Non è così. Il senso delle cose che fai è esclusivamente nelle cose che fai. Il resto è burocrazia. Ciò non vuol dire che non devi cercare di pubblicare, ma devi farlo con leggerezza, con distacco, senza pensarci troppo. Spedisci il libro e poi dimentica di averlo spedito (non è facile, lo so) e intanto prosegui, scrivi altro, fai bricolage, progetta nuovi cicli narrativi. Ma senza credere che debba essere il mondo esterno a darti conferme: non te ne darà, nemmeno se e quando i tuoi libri saranno pubblicati e venduti in centinaia di copie.
sabato 28 luglio 2007
internet e antibiotici
domenica 22 luglio 2007
per chi si scrive 2
Quel ‘di più’ infatti lo esprimono gli autori che scrivono guardando davvero altrove, e per altrove intendo semplicemente un bisogno interno più forte di ogni necessità del momento. A quel ‘di più’, stilisticamente, ci arriva chi non strizza l'occhio al pubblico, ma attinge dal suo proprio sulfureo o scanzonato mondo, producendo opere magari fuori tempo e fuori mercato, ma che regalano al lettore il senso di essere al cospetto di un testo che definirei 'dotato di anima', se sapessi che cosa vuol dire ‘anima’. Se però con 'anima' intendiamo quel sapiente processo tecnico e stilistico (metafore sapienti, accostamenti di aggettivo e sostantivo, capacità di creare attesa...) in grado di indurre nel lettore sia una sorta di febbrile ‘caduta nel testo’ e sia o soprattutto la sensazione di essere il solo beneficiario a goderne, ecco che riusciamo a intravedere una sorta di spartiacque.
Alle corte: i grandi autori parlano sì al pubblico, ma non si tratta del pubblico collettivo, bensì del singolo lettore, che in cambio di questo dorato privilegio onorerà l'autore sentendo quasi fisicamente tutta la forza e l'autenticità del testo.
lunedì 16 luglio 2007
per chi si scrive
Vi sono poi quelli che scrivono per un pubblico predefinito e che producono quindi opere per ragazzi, o per amanti del fantasy, o per seguaci di discipline varie. Costoro svolgono un ruolo utile, conoscono regole e processi, sanno alimentare e anticipare le attese estetiche del loro pubblico. Ma sono scrittori?
C’è poi chi scrive ‘sotto scorta’. Costui scrive sia per sé e sia per un pubblico, ma per così dire in seconda battuta, perché ha scelto in primo luogo di sentirsi osservato, sempre, costantemente, mentre scrive, da un occhio esterno, e si preoccupa di restare degno di quello sguardo. Se l’osservatore esterno è un grande autore, chi scrive sotto la scorta del suo sguardo (non al suo modo, s’intende) potrà in futuro essere definito uno scrittore, ovvero non appena si sentirà in grado di sostituire quell’occhio autorevole con il proprio.
domenica 15 luglio 2007
riti
Per la scrittura, gesto individuale e solitario come altro mai, ha senso ed è possibile essere 'iniziati'? Credo proprio di sì: ha senso, perché rafforza la coscienza - sempre in dubbio nei veri scrittori - di essere appunto uno scrittore; ha senso, inoltre, perché è sempre bene che anche il corpo sappia (in forma ufficiale, giacché è ovvio che il corpo vive ogni nostro atto) e partecipi delle cose della mente; ed è infine possibile, come dirò di seguito, essere iniziati.
La maggior parte degli scrittori, infatti, ha praticato quasi istintivamente il suo proprio rito iniziatico, quando, ad esempio, si è sottoposto per almeno una settimana a levatacce alle cinque del mattino seguite dal quasi immediato impegno al tavolo di scrittura per tre o quattro ore. Solo in questo modo infatti, o altri analoghi ma sempre capaci di piegare il corpo a una prova forte, è possibile conoscere qualcosa di sé e del proprio modo di scrivere.
domenica 1 luglio 2007
centro e periferia
Ma perché raccontare tutto questo? Alle corte: anche nel narrare una storia occorre tenere conto del fatto che il centro si stabilizza agendo sulla periferia, vale a dire che la storia principale reggerà soltanto grazie al sapiente dosaggio di storie periferiche connesse da lontano con quella.
E forse questo principio non vale soltanto per gli ombrelloni e per i romanzi...
domenica 17 giugno 2007
binari
mercoledì 13 giugno 2007
appunti
I più cercano di non pensarci e reagiscono progettando nuove cose, mentre lo stupido diventa malinconico e poi depresso. Lo stupido, infatti, di solito è anche superbo (in quanto stupido) e soffre perciò al pensiero che il suo 'io' non valga niente.
Poi c'è il saggio: sa da tempo che tutto è inutile e vano, sa che il suo 'io' non vale niente, ma non si deprime, e nemmeno si lancia in nuovi progetti, più o meno nobili, più o meno alti, individuali o collettivi. No, il saggio prende appunti e consiglia a tutti, stupidi e no, di usare molto l'ironia, di ridere di sé e del mondo, perché progetti e depressione possono diventare sinonimi.
mercoledì 6 giugno 2007
saggio o romanzo?
mercoledì 16 maggio 2007
happening
E lo farò con argomentazioni verbali, con esempi pratici, con esercizi di scrittura da svolgere sul posto o più tardi a casa, lo farò con l'ausilio di test giocosi, con prove tecniche, con eventi scenici, ma sempre con la penna fra le dita. E i partecipanti, in quanto tali, potranno ovviamente partecipare: ascoltando, intervenendo, confutando, scrivendo, cancellando, agendo, attaccando l'avversario (interno ed esterno), in un rutilante e babelico crocevia di parole.
sabato 28 aprile 2007
laterale e acuto
Alle corte: ovvero, unire il dono della sintesi a quello della proprietà lessicale.
Per farlo, a volte basta un uso sapiente e sapido degli aggettivi. "Sì, lui parla poco, e sembra assente," dicevamo ieri sera, parlando di S., "ma ogni tanto riemerge dal suo silenzio, e in quel momento diventa davvero... davvero laterale e acuto."
Ecco, scegliere quei due aggettivi, laterale e acuto, per definire i commenti di S. è un modo per onorare sia la sintesi e sia la chiarezza. Chi ascolta è davvero costretto a rivedere nella propria mente il volto di S., a risentire i suoi commenti così rari, ma così capaci di deviare dall'ovvio (laterali, appunto), e al tempo stesso così nitidi, acuti. Alle corte: un aggettivo può salvare spesso una conversazione, talvolta la serata.