domenica 30 dicembre 2007

idee per un romanzo

L.T. mi racconta di una sua idea per un romanzo. Seguo ammirato la breve trattazione, lodo la gaia perentorietà del titolo e intanto penso che le ‘idee per un romanzo’ potrebbero costituire a loro volta, e a pieno titolo, un nobile genere. Certo, viene subito in mente Centuria di Manganelli, ma quello stesso autore ha (e ha avuto) fama di eccentricità stilistica. No, quando dico che le ‘idee per un romanzo’ dovrebbero meritare un ruolo più compiuto intendo davvero qualcosa di domestico e generale: ogni autore, insieme ai lavori finiti, dovrebbe di tanto in tanto rendere pubblici i grumi narrativi, i germogli di storie, gli stimoli estetici che, trascritti sul retro di una busta e sul biglietto del cinema, sono stati accantonati in una cartellina dal titolo ‘idee per un romanzo’ (quale scrittore non la possiede?), dove giacciono. Il motivo: nella ‘idea per un romanzo’ è spesso contenuta la massima quantità di energia creativa, talvolta così concentrata da non poter essere diluita in un romanzo.

sabato 29 dicembre 2007

semplice e facile

C’è differenza fra semplicità e facilità, anche in tema di scrittura.
Bisognerebbe amare i testi semplici e odiare quelli facili. La semplicità, infatti, è il traguardo cui giungono i migliori scrittori, ovvero coloro che hanno davvero sbozzato la pietra espressiva lavorando di martello e di cesello fino ad ottenere la forma pura e leggera. E attenzione: la semplicità, così faticosamente ottenuta, arriva poi a tutti, viene apprezzata da chiunque.
La facilità (scrivere in ‘maniera facile’, leggere ‘cose facili’), al contrario, sembra invece l’esito infelice della pigrizia mentale, sia di chi fa e sia di chi riceve.

il tappeto

”Ma che scrittura sciolta, agile. Si avverte davvero in lui una naturalezza nell’esporre...” dice A.
Non lasciamoci ingannare: la fluidità di un testo, percepita da chi legge, è inversamente proporzionale al lavoro svolto sulla costruzione sintattica ed è al postutto un faticato punto di arrivo, il risultato di imponenti moti strategici e tattici dei componenti in gioco. Un testo risulta infatti fluido alla lettura, scorrevole, capace non solo di trattenere il lettore sulla pagina ma addirittura per così dire di spingerlo avanti lungo la sequenza dei periodi (come se ti venisse tolto il tappeto da sotto i piedi...) soltanto alla fine di un meticoloso e ostinato sforzo su ogni singolo mattoncino lessicale.

mercoledì 26 dicembre 2007

scrivere con l'udito

Arnaldo va al mare è un breve romanzo (inedito) di Roberto Gualducci, opalescente come certe foschie dietro le quali tremolano il sole e le cose, tecnicamente leggero come un castello di carte, ma soprattutto gradevole all’udito. Sì, gradevole all’udito, ovvero percepito dal lettore attraverso le forme sonore di cui è costituito. Si badi, non si tratta, in Arnaldo va al mare, di esperimenti linguistici basati su forme di contagio sonoro. Tutt’altro: non vi è traccia di funambolismo estetico o di vezzi virtuosistici, nel testo, che procede lungo i casi ora ridicoli ora ingrati cui va incontro il protagonista, un sempliciotto, o forse un animo semplice e gentile dotato di una eccessiva fiducia nel mondo. Ma ciò che conta, qui – come sempre – è il taglio stilistico, caratterizzato da elementi di dialogo che giungono senza mediazioni dal centro della scena dritto dritto alle orecchie di chi legge, cosicché si ha come la sensazione, a tratti, di passeggiare per via ascoltando i discorsi del mondo.

autore e lettore

L’autore ovviamente conosce a fondo le intenzioni che lo hanno animato nello scrivere un testo. Spesso è anche certo che queste intenzioni siano pienamente visibili agli occhi di chi legge. A mio parere, invece, l’autore non è purtroppo in grado di stabilire se le sue intenzioni siano davvero visibili a chi legge. Sia perché gli è impossibile leggere il suo testo in totale ‘verginità’, ovvero liberato delle intenzioni che lo hanno motivato, e sia (soprattutto) perché il lettore, ogni lettore, leggendo, sposta il baricentro estetico dell’opera, cosicché se anche non vedesse nel testo le intenzioni dell’autore e ne vedesse altre, bene, dal suo punto di vista avrebbe ragione lui. Insomma, l’autore non può assolutamente stabilire, dal suo punto si vista, che effetto faccia il suo testo sotto altri occhi. Una caratteristica umana o psicologica affidata a un personaggio non è automaticamente percepita da chi legge con lo stesso angolo che l’autore gli ha fornito. Il lettore attinge dalla sua vita, dalla sua immaginazione, per rendere tridimensionale il testo che l’autore gli offre e avrà perciò suoi specifici sfondi di riferimento. In parole povere: il testo offre solo se stesso, e non le intenzioni, sicché ogni versione è legittima.

il lettore

L. fa parte di una giuria e deve perciò valutare, dal punto di vista del lettore, alcuni testi letterari.
Osserva – le consiglio - dapprima tutto ciò che è proprietà: ortografia, sintassi, tempi verbali e simili. Poi valuta gli elementi stilistici: uso della lingua, tono (il tono è fondamentale), struttura dell'opera, capacità di costruzione dell'intreccio, abilità nel farmi andare avanti a leggere, ricordando sempre che l’esercizio della critica letteraria è cosa diversa dalla valutazione del lettore. Ora controlla se nell’opera c'è un dato creativo, qualcosa di nuovo nello stile, nella forma, nell’orchestrazione, e infine valuta se ciò che si racconta è pregnante, significativo, degno di nota.
Direi che può essere considerato degno di nota il testo in cui sono sufficienti tutti e quattro questi livelli. Ma se un testo è geniale, ma davvero geniale, anche solo su un parametro, allora bisogna mandarlo avanti in ogni caso.

martedì 18 dicembre 2007

contrappeso

La scrittura allude a un desiderio di scomparsa? Forse sì.

Per quale ragione, infatti, si dovrebbe scrivere, se non per porre fra sé e il mondo un filtro? Scrivere, è vero, è utile a chi scrive perché fornisce un formidabile aiuto alla comprensione di sé e del mondo, ma questa è una ricaduta di cui ci si avvede dopo aver già deciso di scrivere… E si è deciso di scrivere, probabilmente, per arretrare dal turbinoso palcoscenico del giorno, per tenersi fuori dalla mischia. Dunque, si scrive per fuggire dal mondo. Ma poi, d’improvviso, si desidera essere riammessi d’ufficio, in quel mondo, attraverso la pubblicazione. Che il desiderio di vedersi pubblicati non sia altro, dunque, che l’esatto contrappeso di quella volontà di scomparsa da cui è nato lo scrittore?

si scrive sempre

Chi scrive, scrive sempre. Quando scrive, ovviamente, ma anche quando non scrive, quando, per scelta o per accidia, assume l’atteggiamento passivo e distante di chi passa di lì per caso. Chi ha contratto l’attitudine di scrivere, infatti, conserva il metodo di tradurre ogni scena vista, ogni dettaglio percepito, profumi e sensazioni compresi, in una struttura sintattica compiuta. Magari non se ne rende nemmeno conto, ma lo fa (e chi non lo fa, probabilmente, non è ancora ‘uno che scrive’). Così, accade che anche nei periodi di minor dedizione all’atto di scrivere, lo scrittore continui a scrivere, in quella forma intima, sorta di seconda pelle, che è il percepir-scrivendo. Si tratta di una scrittura che svapora mentre si fa, ma non per questo destinata a perire: ammassata in un archivio mentale, sorgerà da sé, tempo dopo, come un’urgenza, come una necessità di espulsione…