La percezione della profondità, delle tre dimensioni, è una elaborazione del cervello, come è noto: i nostri occhi, tecnicamente, vedono un quadro appiattito, che i neuroni trasformano nella realtà elaborando le linee prospettiche e organizzando le distanze.
Ora, chi scrive deve riuscire a dare al lettore lo stesso senso di profondità spaziale (ovvero la dimensione del reale), sapendo però che non può contare sul gioco naturale svolto dalla coppia occhi-cervello di chi legge.
Ma come si ottiene la ‘terza dimensione’ in letteratura? Non esiste una formula unica o magica, ovviamente, ma credo che abbia un valore importante, in questa faccenda, la capacità di alludere, dove si può, più che di descrivere. Grazie alla sapiente allusione, infatti, il lettore è obbligato a completare da sé ciò che nel testo non è detto, è portato a spingere più in là l’immaginazione, producendo nella sua mente l’equivalente dello sfondamento prospettico.
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