martedì 28 agosto 2007

fermentare

Si dice di chi scrive che 'è in fermento'.
Fermentare è alla base della vita: fermentano il pane e il vino, per diventare tali. E l'intestino ha bisogno di fermenti per funzionare.
Ho sempre sostenuto che il cervello e l'intestino sono lo stesso organo (anche nella forma, se ci si pensa) e hanno funzioni analoghe: ricevono, elaborano, assimilano ed espellono, se l'organismo è sano. Il cervello riceve immagini e suoni e parole (ovvero il cibo), elabora e genera pensieri (la digestione), trattiene ricordi e produce una 'filosofia' propria (gli elementi che nutrono), espelle il risultato dei pensieri (non c'è bisogno di analogia).
In pratica, per star bene non bisogna essere stitici, bisogna scrivere, se no i pensieri si accumulano nella testa e occludono. E appena espulso un pensiero bisogna tirare l'acqua e passare ad altro, se no si resta infantili.

ricordare per scrivere

Chi scrive per ricordare deve ricordarsi prima di tutto di ricordare.
E per ricordare occorre di volta in volta appuntare in forma di frammento il ricordo che è stato evocato magari da un balcone fiorito o dalla penombra di un porticato. Questo lavoro di annotazione deve essere svolto con metodo, ed è perciò necessario avere sempre con sé il taccuino su cui trascrivere, nel momento stesso in cui il ricordo emerge, quel dettaglio o quel colore. Poi, con calma, si dovrebbe passare alla stesura più meditata organizzando il materiale raccolto in una struttura narrativa o più semplicemente, senza scomodare Proust, in una cornice descrittiva. Oppure, e credo sia la cosa migliore, è sufficiente lasciare i frammenti trascritti sul calepino così come sono nati (a patto di averli scritti con la massima cura sintattica pur nel fervore del momento), vale a dire lasciando intatto, in quel breve testo, il lampo di verità trasfigurata che è il ricordo.
Ma attenzione, scrivere i ricordi non vuol dire comporre l’autobiografia, che richiede un progetto, ma significa catturare, nel flusso del presente, lo spontaneo apparire di bruscoli di passato.
Alle corte: i ricordi affiorano come relitti e devono perciò galleggiare sulla pagina allo stesso modo, senza connessioni dirette.

lunedì 27 agosto 2007

scrivere per ricordare

P. scrive: “Ho tante cose dentro di me, che premono per venire fuori, ma non so farle uscire.”
Credimi – ho risposto - l'unico modo per far rivivere le cose è quello della scrittura. Purtroppo, però, chi scrive non rivive davvero l'esperienza evocata, ma ne respira soltanto gli ultimi profumi, poiché per restituire davvero ciò che si vuole far riemergere occorre lavorare duro di sintassi, di vocaboli scelti con cura, di ritmo. Così, chi scrive rievoca poco, ma chi legge, se l'autore ha faticato (sacrificando il suo proprio ricordo), rivivrà le esperienze altrui godendone appieno. Dunque, bisogna scrivere, non c'è altro modo per salvare i propri ricordi, ma sapendo che li si rende disponibili per gli altri, più che per sé. La storia della vecchina morta sola e senza figli, senza lasciare ricordi di sé, è molto bella, ma non è vero che nessuno ha raccontato nulla di lei. Grazie alla tue parole, io, oggi, ho saputo della sua esistenza, ed è come se la avessi vista. Dunque, non è poi così vero che si scompare del tutto. Ma bisogna scrivere e scrivere, per ricordare, tenendo comunque a mente Qoelet: "Né di un sapiente, né di un idiota avrà memoria il tempo." E al tempo stesso sapendo però che ogni nostra parola (e gesto, e sguardo) interagisce con il mondo e lo cambia per sempre, cosicché risulta impossibile scomparire...
Insomma, tutto è duplice, e muta, e sfugge e resta. E scrivendo si raddoppia la duplicità ma anche il mutamento, e si moltiplica l’assenza ma anche la presenza.

giovedì 9 agosto 2007

pubblicare

R. ha scritto un bel libro, ma soffre perché non trova un editore.
Caro R. - gli ho risposto - ritengo che tu sia un buon scrittore, ma del tipo che definirei 'scrittore giovane'. Non per l'età e nemmeno per i temi trattati, ma per il bisogno di pubblicazione che ti anima. Tale bisogno, bada, è comune a chiunque scriva, ma è prepotente nel 'giovane scrittore', ed è un bisogno capace di produrre anche molta frustrazione, se disatteso.
In effetti, essere giovani vuol dire vivere ancora nel pieno della stagione delle illusioni.
L'illusione, tuttavia, non è quella di pubblicare, ma quella di credere che la pubblicazione potrebbe dare un senso alla tua vita, alle cose che fai. Non è così. Il senso delle cose che fai è esclusivamente nelle cose che fai. Il resto è burocrazia. Ciò non vuol dire che non devi cercare di pubblicare, ma devi farlo con leggerezza, con distacco, senza pensarci troppo. Spedisci il libro e poi dimentica di averlo spedito (non è facile, lo so) e intanto prosegui, scrivi altro, fai bricolage, progetta nuovi cicli narrativi. Ma senza credere che debba essere il mondo esterno a darti conferme: non te ne darà, nemmeno se e quando i tuoi libri saranno pubblicati e venduti in centinaia di copie.