venerdì 26 ottobre 2007

o vivo o morto

Lo scrittore non scrive mai quando è vivo. Scrive quando è morto (morto: sinonimo di assente, asociale, imperturbabile, indifferente, distaccato, atarassico).
Esiste anche lo scrittore vivo, senza dubbio, quello che parla, incontra gente, chiacchiera, guarda la televisione. Succede che qualcuno incontri lo scrittore vivo e cominci a fargli domande su come scrive, sul perché scrive. Lo scrittore vivo tace. Non può rispondere, non conosce le risposte. Sono concetti noti soltanto allo scrittore morto. L’interlocutore insiste, e allora lo scrittore vivo è costretto a dichiarare di non essere la persona adatta a rispondere.

organizzazione

Scrivere, come si sa, è una questione di tecnica (conviene ripeterlo, perché negli ultimi giorni ho ancora sentito la terribile parola ‘ispirazione’). E - voglio aggiungere - scrivere presuppone un buon livello di organizzazione, non soltanto in vista della stesura di un testo, ma proprio all’origine, dentro la testa, o dove diavolo risieda il centro di controllo dell’attività espressiva.
Partiamo a esempio dai ricordi. Non ci si deve accontentare del naturale scenario evocato da un ricordo, ma bisogna avvicinarsi sempre più al quadro che va formandosi nel buio della mente, indagare nelle zone in ombra del ricordo (chi c'era, lì, sullo sfondo? di che colore era la mia camicia?). Soprattutto, all'apparire di un ricordo, non si deve restare immobili e inebetiti davanti all’immagine evocata, ma occorre invece darsi un gran da fare per dare il nome a tutto ciò che via via appare.
Alle corte: solo una continua e costante attività di organizzazione mentale (di qualunque tipo sia, s'intende) porterà il sedicente scrittore al compimento dell'opera.

domenica 21 ottobre 2007

scrivere racconti

La difficile tecnica del racconto, storicamente poco esplorata in Italia, sta incontrando da qualche tempo una stagione di interesse, da parte di chi scrive. Ciò è dovuto probabilmente alla diffusione di quella che definirei letteratura della rete, nella quale la forma-racconto sembra trovare fisiologici sbocchi. Ma la disciplina del racconto resta comunque ardua: un territorio delicato che richiede dosaggi sapienti e minimi di ingredienti, dove un errore anche lieve può risultare determinante.
Il giovane autore che sceglie questa strada dovrà dunque dedicarsi con pazienza alla stesura di racconti adottando stili diversi, passando magari per una fase preliminare in cui i testi composti possono suonare alla maniera di più che propri. Non c’è nulla di male in ciò: tutti i pittori non hanno forse cominciato copiando per esercizio i grandi maestri che li hanno preceduti?
A. è un autore giovane e dotato di talento che ha tessuto una serie di racconti non tutti di pari livello, proprio come se esplorasse, al fine di conoscere davvero il passo che gli è più congeniale, diversi modelli narrativi. I suoi racconti paiono uno studio preparatorio delle proprie potenzialità espressive piuttosto che un lavoro pensato organicamente. Ed è proprio così che deve concepirlo: come uno studio preparatorio. Del resto, il compito più alto, per un autore, è quello di raggiungere un proprio stile. Ma per arrivare a quel traguardo occorre che l’autore si misuri e si eserciti su svariati processi di composizione, esplorando la varietà di forme sintattiche, di registri, di toni e di strutture testuali di cui dispone (ed è buona cosa disporne di alcuni), fino a riconoscere e perfezionare un suo proprio passo, una sua voce personale.

mercoledì 10 ottobre 2007

scintillio

C. apprezza la scrittura in cui trova ‘acume e scintillio’.

Ma che cos’è, di preciso, lo ‘scintillio’? La risposta non è facile, poiché in questi casi si fa riferimento più a sensazioni (come è giusto che sia) che a precisi dati tecnici presenti nel testo. E però chi scrive dovrebbe cercare di darsi proprio risposte come queste, se vuole governare a pieno la sua sintassi. Proviamo a cercare le ragioni dello ‘scintillio in un testo’, allora, partendo da una premessa. In un romanzo, l’attenzione è di solito tenuta desta dal fatto che un personaggio fa qualcosa. In un testo di tipo saggistico, invece, non vi sono personaggi che agiscono, ed è perciò la sequenza logica dei concetti a generare l’interesse. Ma l’attenzione o l’interesse non sono ancora lo scintillio, il quale deriva da un ‘di più’ di interesse, da una di luce più vivida che sfugge dal testo. Chi genera quel ‘di più’? Tentiamo ora la risposta.

In un romanzo, dove c’è chi fa qualcosa (i personaggi), credo che lo scintillio venga prodotto dalla capacità della sintassi di concatenarsi con potente consequenzialità logica, grazie ad avverbi e congiunzioni, così da generare in chi legge la sensazione che la pagina venga tirata su come un tappeto, portando tutto con sé.

Un saggio invece scintilla quando un concetto si mette a fare qualcosa, alla maniera dei personaggi di romanzo, come può essere una metafora che assume vita propria popolando di suoi rimandi i concetti successivi (se parlo della letteratura inedita come parte sommersa dell’iceberg, ad esempio, dirò poi che gli autori inediti osservano il fondo marino e simili).

Alle corte: quando il testo svela la sua potente capacità metamorfica, ecco che produce effetti incantatori e scintillii.

domenica 7 ottobre 2007

talento e strategia

Dunque s’è detto che l’autore non dovrà pensare al libro (inteso come oggetto edito) durante la stesura di un lavoro letterario, ma esclusivamente al testo, mettendo in gioco, al meglio di sé e nel chiuso della stanza, talento e competenza tecnica, disciplina e malizia, forza e leggerezza, e un pizzico di autoironia.
Poi, però, a opera conclusa, è legittimo che l’autore desideri vedere la sua fatica condensata in un libro. Ma attenzione, le doti messe in atto per la stesura del testo sono del tutto inutili al fine di raggiungere questo secondo obiettivo, così come la qualità stessa del lavoro, da sola, non è sufficiente a traghettare il testo alla dimensione di libro.
Alle corte: l’autore deve scegliere una strategia, armarsi di destrezza e sviluppare capacità relazionali se vuole che il suo testo si trasmuti in libro (il verbo ‘trasmutare’ non è scelto a caso, poiché la metamorfosi del testo in libro si compie di pari passo con la mutazione alchemica dell’autore).

venerdì 5 ottobre 2007

testo e libro

Molti giovani autori vivono lunghe stagioni di frustrazione e di delusione in attesa della sospirata pubblicazione. Questi tormenti sono probabilmente destinati a crescere fino a quando non sarà chiarita in profondità la distinzione che esiste fra il testo e il libro.
L’errore sta tutto nel pensare al libro durante l’atto di comporre un testo.
Il libro, infatti, è un oggetto che assolve svariate funzioni, fra cui anche quella di contenere un testo. Inoltre, il libro è un oggetto progettato e realizzato da più persone (autore, editore, grafico, tipografo, distributore, libraio...) per soddisfare esigenze di più categorie umane e sociali.
Il testo, invece, è l’esatto risultato di un processo interno, tecnico e creativo. Il testo nasce dal disegno estetico dell’autore e si nutre esclusivamente delle sostanze fornite da chi scrive.
Alle corte: il testo non ha bisogno del libro, ed è perciò bene che l’autore non pensi al libro, mentre scrive.