mercoledì 11 dicembre 2013

Far ridere

Mi hanno chiesto se è vero che far ridere è più difficile che far piangere. Risposte certe non ne ho, per fortuna, ma visto che il Cardo è diventato il protagonista seriale dei miei romanzi comici (ormai si è quasi persa la natura 'gialla' degli esordi, a favore di un andamento più disorganizzato), mi sento di poter dire che 'far ridere' richiede (a me) una soglia di attenzione molto più alta rispetto a quella che mi occorre per lavorare sulle scene tragiche o dolorose, sui sentimenti di angoscia o di sofferenza. Di fatto, quando decido di 'far ridere' devo cogliere con estrema precisione i punti di contrasto, che sono i soli a produrre un esito spiazzante e quindi divertente (usare il braccio come agenda e non potersi più lavare per non perdere i numeri, è un esempio banale di questa necessità di contrasto). E gli elementi che creano scarto fra ciò che si attende e ciò che succede possono essere organizzati sia in un singolo passaggio, sia nella ampia struttura di uno sviluppo. A esempio, nel recente L'amaro dell'immortalità (Frilli editori, 2013), il Cardo, per la prima volta nella sua vita, si innamora perdutamente. Per molte pagine discetta e riflette su questa nuova e (per lui) misteriosa malattia. Poi incontriamo l'oggetto del suo amore... Ebbene, descrivere la sua sofferenza d'amore è stato assai più semplice che architettare l'incontro con l'amata...