lunedì 29 settembre 2008

fammi vedere!


Paolo Travers mi chiede se sia meglio conoscere per esperienza vissuta i posti dove si svolge una vicenda narrata oppure se un bravo narratore dovrebbe prescindere da una definizione dei luoghi troppo precisa. Ritengo che la risposta unica non ci sia. Calvino diceva di scrivere solo di ciò che si conosce, ma Salgari ha scritto dell'Asia senza mai essere andato oltre Verona. Io preferisco la teoria di Calvino, ma sto scrivendo un romanzo ambientato a Venezia (che conosco bene), dove però una scena si svolge su un’isola che non ho mai visto… Ciò che conta, a mio parere, è la credibilità interna che riesco a dare al mio testo, e questa credibilità interna dipende senza dubbio dai dettagli che riesco a ‘far vedere’ a chi legge (e se conosco il posto i dettagli saranno precisi), ma si innesca davvero solo quando questi dettagli sono presenti, come tracce generali, nella testa di chi legge. Detto diversamente: posso descrivere perfettamente un luogo, perché lo conosco, ma se chi legge non ‘vede’ nulla è perché non ho scelto, per la mia descrizione, quei tratti in comune fra il luogo descritto e l’esperienza di chi legge (ovvero di chiunque!). Salgari racconta la giungla con elementi descrittivi che sono già dentro di me, ed io perciò ‘vedo’ i luoghi.

accostamenti lessicali


Si fa letteratura ogni volta che si adattano o si accostano parole consuete per esprimere immagini nuove. Come nel caso di tuguri intellettuali, di Nicolàs Gòmez Dàvila, contrapposti alla torre d’avorio.

sabato 20 settembre 2008

sorpresa


Vi sono racconti che giocano sul punto di vista per determinare l’effetto sorpresa del lettore, come nel famoso La sentinella di Fredrick Brown. E’ un espediente sempre divertente, semplice da intuire, ma difficile da applicare, perché nemmeno un indizio relativo al vero osservatore deve sfuggire dalla trattazione. I giovani autori, a partire proprio da quel racconto, potrebbero esercitarsi nello stendere racconti che potremmo definire ‘dell’altro sguardo’.

forze


In un testo agiscono ovviamente forze interne, narrative, architettoniche, stilistiche, che contribuiscono, se dosate con sapienza, a dare forma all’insieme. Ma non bisogna dimenticare che altre forze, sebbene esterne, governano il testo, ed è con queste ultime che molto spesso l’autore si trova a dover combattere suo malgrado.
Si tratta ad esempio della pressione che un evento reale, non previsto, può esercitare su quel testo (guerre, fenomeni sociali e simili), dandogli una luce nuova, non voluta, talvolta negativa. O di modalità espressive che si impongono con forza nella società, o che vengono abbandonate, datando così ogni testo. Ma vi sono anche le forze esterne determinate dal clima generale, euforia o depressione collettiva, movimenti e mode...
L’autore, pur ignorando il tipo di forze esterne che il suo libro dovrà fronteggiare, deve essere in grado di controllarle, per evitare che danneggino il suo testo. Ma come? Prima di tutto evitando di caratterizzare eccessivamente la sua lingua con gerghi o modelli verbali, in secondo luogo collocando le vicende narrate in un’epoca precisa ma non databile alla perfezione. E soprattutto – soprattutto – ricordando sempre la profonda differenza che passa fra cronaca e letteratura.

martedì 9 settembre 2008

ordine e disordine


Un testo ordinato, ben confezionato, in cui tutto si incastra magnificamente, rischia di essere debole proprio a causa della sua stessa perfezione. Allo stesso modo, un testo erratico, caotico e disordinato può risultare ostico, suscitare avversione.
La cosa migliore è il disordine controllato, giocare con sfalsamenti strutturali senza pregiudicare un'idea generale di unità.

giovedì 4 settembre 2008

anacronismi


“Che cosa ti piace fare?”.
“Leggere”.
Quando si dà questa risposta accade che le persone più giovani replichino così:
“E fare qualcosa di più moderno?”.
Come se la qualità di un piacere non stesse nel grado di felicità che trasmette, ma dipendesse invece dal suo livello di modernità. Come se si provasse piacere perché si possiede o si fa una certa cosa, e non per come quella cosa eccita la mente o il corpo.
Giusto o sbagliato che sia questo modo di interpretare il piacere, lo scrittore deve sapere, ancor più di chi legge, di essere anacronistico, sorpassato, demodé, lontano dai giovani, uno di quelli che giocano a bocce mentre tutti hanno la play-station.
Insomma, va bene scrivere e leggere, ma bisogna farlo senza troppa boria, perché è roba giurassica...
(Foto di J-J. Fin)

gusti


L’autore deve credere ciecamente nei suoi testi, nella sua scrittura, difendendola da tutto e da tutti. Purché non pretenda però, infantilmente, che gli altri debbano condividere lo stesso suo entusiasmo (ogni scarafone, del resto, è bello a mamma sua...), i suoi stessi gusti.
Dunque, lo scrittore dovrà sottoporre il suo testo ad almeno dieci fidati lettori prima di considerarlo valido, e dovrà chiedere a questo ‘campione’ di lettori assoluta sincerità, specialmente sul piano del semplice desiderio di continuare a voltare pagina.