martedì 24 giugno 2008

avarizia


L’avarizia è forse il peggiore dei peccati. Ma applicata alla scrittura può dare buoni risultati. Infatti, l’avaro trattiene per sé quanto più può, limitandosi a cacciar fuori solo lo stretto indispensabile. Una simile disposizione d’animo è salutare, quando si scrive, specie quando, da giovani, si è portati a dir troppo, a dire tutto, a lasciare orme pesanti dietro sé.

Pitagora diceva che bisogna parlare solo quando si ha da dire qualcosa di più bello del silenzio e in pratica segnalava la necessità di essere avari di parole.

Dunque, poche parole: per poter essere precisi, per poter essere incisivi, per poter essere ricordati.

lunedì 23 giugno 2008

lussuria


Il cosiddetto ‘peccato capitale’ definito come lussuria produce, come tutti sanno, uno stato psichico iperattivo e una conseguente formidabile ricettività dei sensi. Ogni tanto ricostruisco dentro me quella sorta di frenesia mentale, di energia profonda che genera veemenza e al tempo stesso impone paziente regìa, per dedicarmi alla scrittura. Ovvero, accedo alle parole come se muovessi verso un inesplorato consesso amoroso.

I testi prodotti sotto l’influsso di quella vibrante condizione risultano di solito ben riusciti (e ovviamente si tratta di testi d'ogni tipo), ma ciò che conta è che alla fine della stesura ci si sente appagati, vivi, come se tutto avesse davvero un senso compiuto.

venerdì 20 giugno 2008

l'inedito recensito

Roberto Gualducci gioca con il genere noir, nel suo inedito Un fantasma al citofono, campionando, per così dire, linguaggio e caratteri della mala genovese nei locali malfamati e nelle bische clandestine dei celebri carrugi di Pré e dell’angiporto. L’intreccio è rarefatto, mosso, con effetti qua e là stroboscopici, poiché l’occhio narrativo segue, più che una vera trama, le peste del semplice (ma non stupido) autista dei gangster, che svolge il suo lavoro con l’imperturbabile mitezza di un impiegato modello, prezioso per fare il pesce in barile con la polizia e però legato ai suoi piccoli riti quotidiani, alle prese con l’affitto mensile della sua stanza. Ne nasce un impasto crudo e delicato a un tempo, un esercizio di stile tra le pieghe della notte, sul tema, caro all’autore, del personaggio che rimane candido nel cuore nero del mondo.

mercoledì 18 giugno 2008

accidia


E’ bene non avere un'unica modalità di accostamento all’atto dello scrivere.

A esempio, mi piace accedere alla composizione del testo anche sotto l’impulso, vasto e differenziato, che spinge verso i cosiddetti 'peccati capitali'. In certi casi, dunque, scrivo con la stessa disposizione di spirito che ho quando ozio, quando mi dedico pigramente al nulla: osservo la pagina bianca o le poche righe composte fino a quel punto e non mi sforzo più di tanto per proseguire. Sbircio senza intenzione le parole, più che agire sulla frase, lasciandomi andare alle mille associazioni gratuite che quelle sanno evocare. In questo modo ho trovato, a volte, soluzioni estetiche che non sarebbero mai apparse se avessi adottato i consueti modi del comporre… Alle corte: da una condizione accidiosa sono nate spesso forme lessicali impreviste e curiose, o sono sorti sviluppi narrativi sontuosi.

lunedì 16 giugno 2008

continuità


Chi scrive deve scartare molto, avere il coraggio di eliminare intere sezioni se non addirittura tutto il lavoro svolto. Ma come accade in natura, dove nulla si crea e nulla si distrugge ma tutto si trasforma (Lavoisier), così accade nel mondo della scrittura: il materiale eliminato non scomparirà nel nulla, ma sarà riutilizzato, in altra forma, o come recupero inconsapevole, o sotto forma di esperienza sintattica acquisita, per i lavori successivi.

Da questa prospettiva, sarà un po’ meno doloroso, per l’autore giovane, rinunciare a parte del suo lavoro. Poi, con il passare del tempo, lo scrittore attento vedrà senza dubbio in tutte le sue opere, anche quelle distanti fra loro, i fili segreti, fatti di scarti, che tengono il tutto in equilibrio, in una continuità che somiglia al respiro.

il rubinetto che perde


Lo scrittore deve abituarsi ad avere costumi e abitudini contrarie a quelle indicate dal buon senso. Ad esempio, non deve riparare il rubinetto che perde, ma sopportare il fastidioso stillare della goccia, ovvero, fuor di metafora, deve contrastare il meno possibile il flusso erratico e caotico del mondo, poiché è da quella naturale propensione al disordine che nasce la varietà delle storie.

domenica 8 giugno 2008

fuori di sé


“Non ho tempo di leggere, sono sempre in macchina,” mi dice F.
Forse F. non sa che esistono gli audiolibri, e forse ignora che è davvero bello guidare mentre si ascolta la lettura di un romanzo per radio (ad esempio, io cerco di non perdermi, quando la mattina sono in macchina, le letture dei classici su Radio 3, dalle 9,30 alle 10).
Sentire leggere è una esperienza piena e completa, che oltretutto attiene al bisogno primo, poiché all’inizio, si sa, c’è il racconto orale.
Ma forse F. non legge i libri e non ascolta gli audiolibri semplicemente perché a lui non interessa, perché la sua testa è costantemente altrove, risucchiata da vortici di cose che stanno al di fuori di lui.
Alle corte: leggere e sentire leggere sono atti che costringono a ‘essere in sé’, mentre alcuni preferiscono restare ‘fuori di sé’.