mercoledì 20 agosto 2008

la scrittura cura?


Come è noto, alcune discipline artistiche, di recente, hanno assunto dignità di rimedi per disagi o malesseri. S. mi chiede se la scrittura può avere una sua valenza curativa. Con le debite cautele, posso dire che l’esercizio della scrittura, praticato con metodo e dentro un progetto chiaro, impone per tutto il tempo della seduta una accresciuta e fortissima presenza di sé, cosa del resto comune a ogni disciplina. E la presenza di sé, anche questo è noto, è indispensabile per governare e controllare le emozioni, con innegabile beneficio per molti stati alterati dell’essere.

Su un piano più astratto e per certi versi più fantasioso, la scrittura di un romanzo, o meglio la ‘discesa’ all’interno di un personaggio, può aiutare a spiazzare in parte la cosiddetta ‘memoria cellulare’, intesa come abitudini o automatismi acquisiti dal nostro corpo a causa di spinte sempre identiche: emotive, inconsce, respiratorie e simili. In altre parole, scavando a fondo nella struttura mentale del personaggio che sta creando, lo scrittore è costretto a rimodellare, volente o nolente, la propria mente, con inevitabili ricadute e riverberi sul corpo.

Infine, per quanto mi riguarda, trovo che la vera ‘terapia’, quando scrivo, discenda dalla concentrazione necessaria a tenere insieme la sintassi e la storia, la fluidità dei periodi con la sequenza logica, il dialogo e le digressioni. Una concentrazione che su di me è capace di debellare virus e batteri, errori posturali e cattive abitudini alimentari, compresa la fantomatica ‘memoria delle cellule’ (che, secondo S., esiste veramente…).

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