"Ha mai pensato di scrivere un libro serio?" mi chiede Luigina Ambrogio, in un'intervista per il suo giornale.
Io sono convinto di avere scritto esclusivamente libri seri. La presenza dell’elemento comico, del paradosso, del linguaggio colorito, non minano la mia intenzione letteraria, ovvero non sono espedienti per un facile consenso. Credo per esempio che Gargantua e Pantagruel sia un’opera serissima sebbene faccia sganasciare dalle risate. Dico che scrivo solo libri seri, anche se intrisi di comicità, perché mi impegno sempre su ogni riga, parola per parola, per far sì che la sintassi, la storia, lo stile incatenino il lettore alla pagina. Ma non basta una bella storia o qualche tratto scollacciato per sedurre il lettore, per tirarlo a sé. Il lettore, ogni lettore, anche il meno smaliziato, si rende conto istintivamente se viene sedotto o no da un testo. E’ come per il cibo, tutti riconoscono il cibo buono. E gli strumenti di questa operazione, di questa cattura, sono la sintassi, lo stile, il tono. Le frasi devono scivolare una nell’altra con fluidità, i periodi devono essere ‘massaggiati’, spostando avverbi e trovando sinonimi, fino a farli diventare morbidi e lisci. Si tratta di tecnica, solo con la tecnica si può sperare di far partecipare e vibrare chi legge.
In ogni caso, annuncio che il mio prossimo romanzo, Veleni al Lingotto (Frilli editori), sarà assai meno licenzioso di Piombo a Stupinigi.