domenica 29 marzo 2015

Scrivere 26

Del resto, tutti dovrebbero scrivere.
Ognuno di noi dovrebbe svolgere l’esercizio di trasferire sulla carta il risultato delle proprie riflessioni, l’esito dei propri pensieri, lo sviluppo e la struttura delle proprie idee. Non tanto per esibirsi in un atto vanaglorioso, ma soltanto per portare chiarezza dentro di sé, per sapere se effettivamente si pensa ciò che si crede di pensare. E bisognerebbe cercare di scrivere nel modo più chiaro e preciso possibile.

Alle corte: da sempre ho fatto mia la frase di Nietszche secondo cui migliorare lo stile significa migliorare il pensiero.




martedì 24 marzo 2015

Scrivere 25

È vero che l’atto di scrivere ha affinità con l’impegno bellico, ma questa formula si riferisce esclusivamente al tipo di energia fisica e mentale che occorre mettere in gioco prima e durante la composizione.
Sul piano più specifico della stesura di un testo, parola dopo parola, frase dopo frase, occorre dire che l’atto di scrivere è simile invece a un processo di tipo alchemico, nel quale si parte da ciò che si ha in mente e si procede per successioni logiche e sintattiche che porteranno a un esito estetico diverso da ciò che si prevedeva.
Chiunque scriva, infatti, dovrà abituarsi all’idea di vedere compiersi sotto i suoi occhi la costante trasformazione della sostanza. O meglio: dovrà pretendere che il suo sforzo sintattico ribolla di attività metamorfiche, dovrà rendere possibile la migrazione di elementi di testo da un punto a un altro della frase, dovrà percepire le modifiche di calore espressivo grazie alla sostituzione di vocaboli, dovrà vedere apparire grumi concettuali da sciogliere con la diluizione descrittiva, dovrà accogliere inaspettati esiti strutturali dovuti proprio alle continue reazioni avvenute fra i periodi.

Ma soprattutto, chi scrive si ritroverà modificato esso stesso da quel processo di trasformazione della sostanza lessicale che ha dovuto mettere in atto ed accettare. Così, abituando lo sguardo e la mente alla innumerevoli e incessanti trasmutazioni che la scrittura impone, l’autore giungerà, per affinità alchemica, a percepire se stesso in forma meno definita e stolida, ovvero più fluida e disponibile a ulteriori metamorfosi.


domenica 22 marzo 2015

Scrivere 24

Sì, l'atto di scrivere ha molte affinità con l'impegno bellico.
Durante la fase preliminare, infatti, quando si delinea la strategia, è necessario affidare al dubbio il ruolo di più fidato consigliere. Ma poi, quando l'attacco si è reso inevitabile, il dubbio deve essere lasciato al sicuro nelle retrovie affinché l'azione sintattico-narrativa possa essere esercitata con tutta l'efficacia e la potenza che è in grado di esprimere.
Alle corte: una volta impugnata la penna dovrai lottare su ogni frase con volontà leonina.


venerdì 20 marzo 2015

Scrivere 23

Sotto i pini marittimi, con il mare sullo sfondo, in un rovente pomeriggio mediterraneo, si compie la tragedia. 
Le cicale - sfondo sonoro e imperturbato - non hanno mai interrotto il loro concerto. 
Il canto delle cicale rammenta al romanziere che ogni storia è immersa in una realtà di solito piuttosto indifferente, ed è grazie a questo fondale immoto che l'evento narrato trae risalto e spessore.
Alle corte: chi scrive non deve mai dimenticare di dare voce anche alle cicale, nel suo testo.


mercoledì 18 marzo 2015

Scrivere 22

Ma per quale ragione, poi, si dovrebbe scrivere?
La domanda non è oziosa, ma punta al centro del problema. Credo che le risposte davvero concrete siano poche. La più importante e completa dovrebbe essere questa: “Non esiste una ragione per scrivere, ma tanti motivi più o meno buoni e quasi tutti poco importanti e in gran parte connessi con il banale bisogno di appagamento del proprio io”.
Fra i motivi minori, tuttavia, mi sembra di trovare un più nobile argomento (rispetto ai vagiti dell’autocompiacimento) nel fatto che la scrittura migliora la percezione del mondo: dovendo descrivere una persona, una cosa o una scena, sono costretto a osservare a fondo sia il quadro generale e sia i dettagli, e in questa operazione di graduale messa a fuoco i miei sensi si impadroniscono del mondo in maniera più piena e profonda di quanto non accada in altri momenti.

Alle corte: scrivere se non altro fa bene alla vista.   


lunedì 16 marzo 2015

Scrivere 21

Vi sono giovani e bravi autori che cadono ancora nella trappola della ‘lingua letteraria’. Hanno alle spalle buone letture, sono dotati di proprietà lessicale e preparazione sintattica, ma ripetono l’errore di comporre frasi che hanno ‘l’aria letteraria’ (o letter’aria) come a esempio: “…la rugiada brillava riflettendo sfumature iridescenti”.
Frasi come questa sono ovviamente del tutto normali e assolvono alla funzione descrittiva loro affidata, ma il loro limite è quello di suonare come organismi lessicali presi in blocco dalla prosa ‘altra’, forse alta o classica, ma senza dubbio datata. 
Inoltre, la scelta del dettaglio visivo (il riverbero della rugiada, in questo caso, così come in altri autori il pulviscolo reso percettibile da una lama di luce in una stanza) appartiene a luoghi narrativi ampiamente sfruttati, sicché la frase, anziché farmi ‘vedere’ la cosa descritta, mi rimanda soltanto ad altri libri.

Alle corte: se proprio vogliamo scrivere di rugiada o di pulviscolo (non è obbligatorio) dobbiamo faticare un po’ e trovare un modo proprio, personale e soprattutto fisico di rendere l’immagine, magari con una metafora specifica. 


domenica 15 marzo 2015

Scrivere 20

M. ha scritto un romanzo dallo stile nitido. La sua prosa è muscolare, controllata, ma poi cade affidando ai personaggi (alta borghesia) caratteri rigidi, fissi, oltremodo negativi, spinto forse dall’astio sociale o dal livore di classe. Così vanifica il suo sforzo e rende scadente un testo di buona fattura sintattica.
Lo scrittore deve rendersi conto di essere una lente, una lente preziosa che riesce a scorgere in un evento a prima vista semplice tutta la complessità di cui è composto. Lo scrittore sa (deve sapere) che ogni evento è più complesso di quanto sembri, che il suo compito è proprio quello di fuggire le semplificazioni e le generalizzazioni, per scandagliare la realtà nelle sue più riposte pieghe.
Alle corte: chi vuole esprimere giudizi perentori sulla società o sulle persone scriva un saggio, un trattato, un pamphlet e lasci il romanzo a chi è armato di soli acuti sensi e ramificati dubbi.




venerdì 13 marzo 2015

Scrivere 19

Il vero nemico da combattere, durante la scrittura, è il nostro stesso io. 
Infatti, se l’io è pletorico o ipertrofico sarà difficile scrivere di qualcosa che sia diverso da noi, mentre invece l’atto di scrivere esige che si lavori sempre intorno a qualcosa di diverso da noi, anche nel caso che si scriva di se stessi, affinché siano mantenute la giusta distanza dalle cose e la freddezza necessaria all’intento. Inoltre, se l’io signoreggia sarà impossibile rendere con chiarezza il punto di vista altrui, sarà arduo dare al testo un tono ‘panoramico’ o sinfonico.

Insomma, l’io è un ostacolo alla scrittura (oltre a essere l’unica fonte da cui attingere, per paradosso). Se poi il desiderio di scrivere anima una personalità dall’io ingombrante per avidità di vita e di sentimento, per quel continuo oscillare tra tormento ed estasi, per quel fuoco gelido che rende le decisioni dilaniate dal sospetto che la scelta opposta sarebbe stata migliore, ebbene, per questa persona l’ostacolo dell’io sarà pressoché insormontabile. E perciò dovrà liberarsi al più presto di quell’invadente fardello. Ma come? Scrivendone, semplicemente, per poi distruggere.


mercoledì 11 marzo 2015

Scrivere 18

Pietro mi dice che l’ortografia è solo un valore convenzionale e che ‘basta capirsi’.
Scrivere in forma corretta, vorrei replicare, non è solo un atto di convenzione, ma di sostanza. Se io anziché dire ‘Pietro’ dicessi ‘Pitro’, nel nominarlo fra amici, lui mi farebbe senza dubbio notare che il suo nome è Pietro. E se due minuti dopo lo chiamassi nuovamente ‘Pitro’ al posto di ‘Pietro’, lui - ne sono certo - mi segnalerebbe di nuovo l'errore oppure deciderà che sono uno screanzato e che non ho per lui la minima attenzione. A quel punto potrei dirgli che basta capirsi, tanto nessun altro, in quel gruppo, si chiama Pitro o Pietro, quindi non c’è da sbagliare. Però lui non sarebbe d’accordo. Vorrebbe essere nominato nella forma corretta. 
Ma perché? 
Per la ragione che lui, come tutti, sa o intuisce o percepisce che il suo nome è davvero qualcosa di più che non la semplice formula convenzionale con cui lo si identifica. Pietro sa (intuisce, percepisce) che lui è il suo nome, sa che se il suo nome viene pronunciato o scritto in forma scorretta è come se venisse intaccata la sua identità, non solo la convenzione.
Ma ciò che accade per il nostro nome - vorrei dire a Pietro - vale anche per le parole che designano cose, azioni, qualità. Se nominiamo le cose e le azioni in forma scorretta, quelle cose e quelle azioni perdono parte della loro identità. Inoltre, usare un vocabolo in forma scorretta rivela qualcosa di noi: rivela che poniamo poca attenzione al mondo, indica la nostra poca adesione al vero, tradisce la nostra indifferenza per la sostanza delle cose (poiché, giova ripeterlo, il nome è la cosa).

Alle corte: usare le parole nella forma corretta è importante se si vuole davvero prendere contatto con il mondo, ed è addirittura indispensabile se si pretende di raccontarlo con le parole scritte.


lunedì 9 marzo 2015

Scrivere 17

Ci sono segreti che, pur rivelati in ogni loro dettaglio, mantengono inalterata tutta la loro occulta potenza, poiché il vero segreto non sta nella rivelazione del principio enunciato o nella modalità tecnica esposta, ma nella difficoltà di accedere a quella padronanza di cui il segreto è solo l’astrazione. 
Uno dei segreti della scrittura, a esempio, è nella precisione lessicale. Grazie a questa capacità, chi legge riesce davvero a vedere o a capire ciò che l’autore sta descrivendo. Ecco, un segreto di tale genere può essere donato a tutti e probabilmente non c’è manuale che non ne parli. 
E però il segreto mantiene intatto il suo nucleo di inaccessibilità, poiché per arrivare alla precisione lessicale occorre passare per innumerevoli stadi, compiere infiniti sforzi, scrivere e riscrivere mille volte la stessa frase, modificare periodi e sintassi, sostituire verbi o eliminare aggettivi, lungo una strada che regala la vera comprensione del segreto soltanto al fondo dell'esperienza fisica, dopo aver consumato tenacia e perseveranza.




domenica 8 marzo 2015

Scrivere 16

Chi ha scelto di scrivere (pare ovvio dirlo) ha privilegiato l’ombra alla luce, il silenzio al clamore, la solitudine alla compagnia. Ed è perciò bizzarro che poi manifesti un insano desiderio di apparire.
E dunque, se il tuo bisogno di apparire è davvero così impellente – vorrei dire a N. – allora dovresti cercare di soddisfarlo in un altro modo, perché scrivere nasce quasi sempre da una urgenza tutta opposta.

Resta inteso che chiunque scrive trarrà infine piacere dal pubblicare, ma bisogna saper distinguere, appunto, fra il normale piacere che discende dal riconoscimento del proprio lavoro (non diverso dal piacere che prova chi cucina nel vedere apprezzati i piatti preparati) e la patologica necessità di essere notati, che va discussa con uno specialista.  


venerdì 6 marzo 2015

Scrivere 15

Un errore comune fra gli autori ancora acerbi è quello di attribuire ai personaggi caratteristiche generali. 
Il giovane autore G., ad esempio, descrive aspetti del mondo aziendale che possono essere applicati a tutte le aziende, a tutti gli impiegati, cosicché, pur nel piacere della lettura e nell’originalità del modello narrativo, si sente un senso forte di già visto, di già letto, di già sentito: infatti, tutti i ‘capi’ hanno le caratteristiche del 'capo' da lui descritto e tutte le spie aziendali, nel nostro immaginario, hanno modi e aspetto di quella tratteggiata nel testo.
La soluzione applicata dai grandi autori fin dal nascere della struttura aziendale, per stare nel solco di G., è quella di lasciare sullo sfondo le caratteristiche note e condivise, privilegiando invece gli aspetti davvero esclusivi di quella realtà, al costo di ingigantire fenomeni. Melville rende singolare il suo impiegato Bartleby amplificando il suo rifiuto del lavoro, e in questo modo nessun impiegato sarà mai come lui. L’assurdità della burocrazia viene trattata da Kafka come una forma quasi comica di incubo totale. Villaggio, esagerando oltre ogni limite il servilismo dell’impiegato, rende immortale Fantozzi.

Alle corte: ogni personaggio, anche il più ordinario e senza qualità, ha voglia, come tutti noi, di sentirsi unico. L’autore che non sa donargli questo connotato si condanna alla piattezza narrativa.


mercoledì 4 marzo 2015

Scrivere 14

Il fatto è che siamo portati a intendere la parola ‘vita’ come qualcosa di riconducibile a esperienze note, o almeno immaginabili, in un atto di superbo zoocentrismo (o, peggio, antropocentrismo). Non pensiamo mai di estendere la definizione di vita al respiro eterno e incessante degli atomi e delle molecole che si ricombinano da sempre in sostanze ora animate ora no. Non attribuiamo la patente di ‘vivente’ alla pietra che si sfalda e sulla quale i sali si dissolvono in ioni per riunirsi altrove in concrezioni nuove. Restiamo saldamente abbarbicati all’idea di vita connessa con gli esseri animati e individui.
Ma basterebbe estendere il senso del termine ‘vita’ anche alla parte inorganica del mondo per far diventare un saggio di geologia interessante come un romanzo. E se qualche autore cominciasse a scrivere la storia di una scaglia di ossidiana (o di un numero, o di un cactus) con la stessa intensità e angolazione di sguardo prestata agli umani, ecco che assisteremmo al sorgere di una nuova letteratura.



lunedì 2 marzo 2015

Scrivere 13

Bisogna parlare e scrivere tenendo conto dell'immaginario di chi ascolta o legge. Se io dico 'portamento', chi mi ascolta pensa istintivamente al passo della modella. Ma se io volevo intendere con 'portamento' ad esempio l'autorevolezza presente anche nella struttura fisica di una persona, allora dovevo sforzarmi per cercare il termine capace di evocare nell'altro esattamente ciò che io avevo in mente.
Dunque, per farsi capire occorre attingere, prima di usare una parola, a una sorta di 'patrimonio collettivo di immagini' e far coincidere la parola scelta con l'immagine collettiva che quella parola evoca.
Ma soprattutto occorre battersi - ripeto, battersi - fra vocabolo e vocabolo, fra termine e termine, scegliendo e scartando a oltranza, fino a ottenere il risultato voluto. Alle corte: parlare (o scrivere) con proprietà e con capacità di farsi intendere ha a che fare con le arti marziali.


domenica 1 marzo 2015

Scrivere 12

C’è chi (come me) vede in ogni elenco l’abbozzo o meglio lo scheletro di una narrazione, il riflesso di una storia, e ne assorbe il profumo. Ricavare da uno scarno elenco di nomi il senso di una trama può sembrare un modo elementare e forse pigro per dare libero sfogo all'immaginazione, ma l’esercizio è senza dubbio interessante e produce esperienze psichiche alte, al punto che io lo ripeto pressoché ogni giorno, con grande piacere. 
Alcuni esempi: leggere i necrologi e vedere l’arredamento delle case; scorrere i nomi dei vincitori di tappa del Tour de France, con l’atlante sott’occhio, e sentire il caldo del Mont Ventoux o le ventate di Normandia; leggere i nomi degli elementi chimici e scorgere i cristalli o la lava vulcanica.